Tim, Labriola: "Compartecipazione nella rete? Non ha alcun senso, no grazie"

Se Cdp dovesse rilevare l'intera infrastruttura da Tim, che cosa succederebbe dei 3,6 miliardi di fondi per le aree grigie del Pnrr?

di Marco Scotti
Economia

Tim, Labriola: "Non siamo interessati a una compartecipazione nella rete"

Pietro Labriola boccia la compartecipazione di Tim nella rete. Una posizione comprensibile: perché Tim dovrebbe mantenere un asset che non ritiene più strategico, che potrebbe diventare estremamente fruttuoso, senza oltretutto averne più il controllo? Non avrebbe alcun senso, appunto. Ma c’è un ulteriore aspetto che Affaritaliani.it può rivelare: nei piani di Tim sono ovviamente considerati anche i fondi del Pnrr per le zone grigie. Si tratta di bandi assegnati per circa 1,56 miliardi di euro di fondi massimi erogabili. Cui si sommano i 2,05 miliardi destinati a Open Fiber.

Se però Cassa Depositi e Prestiti dovesse fare un’offerta, verrebbe meno il presupposto di agevolare la competitività che è alla base del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In quel caso, quei fondi sarebbero ancora erogabili? E, se così non dovesse essere, a chi spetterebbe metterli? Non va dimenticato, infatti, che Cdp è già azionista del 60% di Open Fiber, se dovesse diventare detentore della rete di Tim assommerebbe in sé una sorta di monopolio e farebbe decadere alcune clausole di competitività del mercato. Per questo, come Affaritaliani.it ha scritto venerdì 10 febbraio è possibile che Cdp scelga di entrare come socio di minoranza forte nella rete

Rete, tutto fermo fino al 23 febbraio

La call con la stampa che il ceo di Tim ha tenuto oggi 15 febbraio può essere riassunta dalla sua dichiarazione: “Mantenere una quota di minoranza nella rete non sembra un'opzione valida ma dipende dai negoziati. In termini Antitrust - ha sottolineato - quale sarebbe il vantaggio di mantenere una quota di minoranza nella rete? Perché dovrei spogliarmi di ogni tipo di diritto di veto o di voto, diventerebbe una partecipazione finanziaria e in quel caso avrebbe senso solo se da questa partecipazione un domani ci possa essere un upside. Quindi dipende dalla negoziazione, ma sono temi che vanno affrontati nelle sedi corrette. Il Cda del 24 febbraio è la sede più opportuna per studiare le opzioni strategiche prima di condividerle con il mercato”.

 Il problema è capire che cosa succederà a breve nella partita della rete. Dell’offerta di Kkr si è detto ampiamente. Ora si aspetta la risposta di Cdp. Che arriverà, per forza di cose, il 23 febbraio. Il giorno dopo, infatti, il consiglio di Tim valuterà che cosa c’è sul tavolo. Quella degli americani è un’offerta non vincolante, ma potrebbe diventare più concreta se il cda dovesse decidere di accettarla. C’è poi l’incognita Cdp: vuole essere della partita e quindi rilanciare i circa 27 miliardi complessivi (tra cash e investimenti) promessi da Kkr? Vuole “accontentarsi” di una quota di minoranza in stile Terna per poter poi avere il controllo della partita una volta che il fondo americano deciderà di uscire?

Quello che sembra da scartare è una sorta di “triumvirato” tra Cdp-Tim e Kkr. Non ci sarebbe alcun beneficio per l’ex-Telecom. Che invece potrebbe avere una notevole riduzione del debito. L’ultimo bilancio, infatti, presenta un indebitamento finanziario netto contabile pari a 25,37 miliardi di euro, quello rettificato al netto di contratti di lease di 20,015 miliardi, in aumento di 2,442 miliardi. Dunque, ritrovata una buona redditività, aumentati i ricavi, serve tagliare con l’accetta qualsiasi ulteriore fardello. Da Cdp, a quanto ci risulta, non trapela quasi nulla. Si continua a lavorare in accordo con il governo. In meno di dieci giorni sapremo tutto. 

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