Tim, rete unica o cessione a Kkr? I possibili scenari dopo l'accordo con Cdp

Digitalizzare l'Italia sarebbe fondamentale non tanto per andare più veloce sulla rete, ma per avvantaggiare le grandi fabbriche fuori dai centri urbani

di Marco Scotti
Economia
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Tim, si continua con la rete unica o si cede agli americani di Kkr? L'analisi

Una nota arrivata sabato nelle redazioni annunciava che Tim ha firmato un accordo di riservatezza con Cdp Equity per l’avvio di “interlocuzioni relative alla eventuale integrazione della rete con Open Fiber”. L’agreement ha una durata di 28 giorni (ovvero fino al 30 aprile) ed è la cosa più vicina a un embrione di rete unica che si sia mai vista in Italia. Ora la domanda sorge spontanea: che cosa succederà dopo questo accordo all’offerta “amichevole” presentata da Kkr alla fine di novembre dello scorso anno? Quello che emerge è uno scenario piuttosto intricato che merita di essere raccontato.

Da una parte c’è l’offerta del fondo americano per la totalità delle azioni di Tim, per un controvalore di 11 miliardi di euro o 0,505 per ogni titolo. Ma il tema era spinoso perché Vivendi, che pure aveva svalutato la sua partecipazione in Tim, aveva iscritto a bilancio il suo 23,9% dell’azienda, a 65,7 centesimi per azione. Accettar l’offerta di Kkr, dunque, avrebbe prodotto un’ulteriore svalutazione di oltre il 20% dopo i 728 milioni di “rosso” già iscritti a bilancio.

Solo che per mesi, complici anche le vicissitudini societarie che hanno portato alle dimissioni di Luigi Gubitosi e alla nomina di Pietro Labriola, nessuno ha risposto agli americani. I quali saranno pure amichevoli, ma non proprio scemi. E quando hanno visto che le voci sullo scorporo tra ServiceCo e NetCo si facevano sempre più insistenti, hanno chiesto di avere una risposta.

A quel punto Tim ha scelto la via del rilancio, di fatto chiedendo più soldi. Perché nel frattempo 11 miliardi erano l’offerta, cash, che Iliad aveva fatto per Vodafone Italia. E dunque la cifra non veniva ritenuta idonea (e in effetti non proprio a torto) per un’azienda storica e nodale nello sviluppo tecnologico del Paese. Ulteriore colpo di scena: il fondo Cvc, dopo aver venduto a fine dicembre Sisal a Flutter Entertainment per 1,9 miliardi - e aver comprato per un miliardo Pegaso dal nuovo proprietario dell’Espresso Danilo Iervolino – ha avanzato un’offerta per rilevare una parte di minoranza delle quote di Tim per un controvalore di 2,7 miliardi.

Nel frattempo, ogni settimana qualche fonte interna al Governo riferiva dell’importanza della rete unica. L’ultimo era stato Francesco Giavazzi, consigliere economico di Mario Draghi che, come ricorda CorCom, lo scorso 23 marzo aveva detto senza mezzi termini che “la rete unica è uno degli obiettivi del governo e si farà”. Andando ancora a ritroso, all’inizio di gennaio il presidente della Cassa Depositi e Prestiti che detiene il 60% di Open Fiber e il 9,9% di Tim, aveva detto che i tempi erano più che maturi per realizzare la rete unica. Insomma, non si scappa: l’ex-Sip con Open Fiber deve per forza di cose cablare l’Italia. Una cosa che sarebbe anche naturale immaginare, visto che esistono aree grigie e bianche che sono definite “a fallimento di mercato” e che, per stessa definizione, non possono essere attrattive per i player privati del settore che vogliono invece puntare sulle grandi città.

Al tempo stesso, se vogliamo veramente digitalizzare l’Italia, è fondamentale che tutti abbiano accesso alla rete: e questo non per andare più veloci su Facebook o per migliorare lo streaming, ma perché le fabbriche – che sono quasi sempre fuori dalle cerchie urbane – hanno bisogno di connessioni iperveloci per poter usare le nuove tecnologie, dal cloud all’IoT. Ora rimane da capire che cosa succederà nel futuro di Tim: si andrà avanti con la rete unica? Si sceglierà di cedere alle lusinghe di Kkr? Il tempo è finito, bisogna prendere rapidamente una decisione. Anche in ottica Pnrr.

 

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