Etiopia, è pace col Fronte di Liberazione del Tigray dopo due anni di guerra

Terminati i colloqui tra governo federale dell’Etiopia e Tplf (Tigray People’s Liberation Front) che hanno portato all’accordo di pace tra le parti

di Marilena Dolce
Pretoria, Sudafrica 2 novembre firma dell'accordo di pace tra Etiopia e Tplf
Esteri

Pace in Etiopia, a darne l’annuncio l’Alto Rappresentante dell’Unione Africana per il Corno d’Africa, Olesegun Obasanjo

Al termine della sessione, dopo una settimana di colloqui, Olesegun Obasanjo, rappresentante dell’Unione Africana che ha ospitato le trattative a Pretoria, ha detto, “è l'inizio di una nuova alba per l'Etiopia, per il Corno d'Africa e, anzi, per l'Africa nel suo insieme”.

Sembra sia finalmente calato il sipario sulla guerra iniziata dal Tplf esattamente due anni fa, nella notte tra il 3 e il 4 novembre, quando le milizie Tdf (Tigray Defense Force) hanno assalito la base del Comando Nord nella regione del Tigray. Molti soldati dell’esercito federale di stanza lì da oltre vent’anni sono stati uccisi nel sonno, altri feriti. Un’azione di guerra che ha rivelato subito la matrice etnica, perché quelli risparmiati dal Tplf erano tutti militari tigrini.

Non ci sono ancora stime ufficiali sul numero di morti ma è certo che in quell’attacco abbiano perso la vita migliaia di giovani soldati di etnia non tigrina. Un atto di una gravità senza precedenti, un’offensiva violenta per quella che avrebbe dovuto essere una guerra lampo. Obiettivo del Tplf, infatti era marciare su Addis Abeba per riconquistare con le armi il potere politico perso nel 2018 con l’arrivo al vertice del premier Abiy Amhed di etnia oromo.

Ora l’accordo di pace tra il governo della Repubblica Democratica Federale d’Etiopia e il Fronte di Liberazione del Tigray mette fine allo scontro armato, per lasciare spazio al dialogo politico. Nello spirito del Silencing the Guns, secondo l’Agenda dell’Unione Africana per il 2030 e in linea con l’idea panafricana che siano gli africani a risolvere i problemi in Africa, hanno lavorato per raggiungere questo risultato, l’ex presidente della Nigeria e ora rappresentante dell’Unione Africana, Olesegun Obasanjo, del Kenya, Uhuru Kenyatta e Phumzile Mlambo-Ngcuka, ex vicepresidente del Sudafrica, oltre ai rappresentanti delle istituzioni occidentali.

Siglato l’accordo, tacciono le armi e inizia il lavoro più duro per riportare sicurezza e pace nel Tigray e nelle altre regioni devastate dal conflitto. Ci vorrà un forte impegno perché la popolazione, dopo due anni pesantissimi, possa riprendere a vivere. Moltissimi civili, soprattutto Amhara ma anche Afar sono stati costretti ad abbandonare le proprie case per sfuggire alle milizie Tdf. Un tristissimo esodo che ha riempito i campi di accoglienza approntati nelle aree ancora libere. Si parla di un milione di sfollati Afar, due milioni Amhara e undici milioni, forse più, di persone che ora possono vivere solo grazie all’assistenza umanitaria.

A questo proposito uno dei punti salienti dell’accordo di pace è proprio quello sugli aiuti umanitari. Il governo si impegna fin da subito ad agevolare l’intervento delle agenzie umanitarie per fornire gli aiuti di cui la popolazione ha bisogno. Aiuti che adesso raggiungeranno le diverse regioni, ma che non si sono mai interrotti, soprattutto quelli forniti dal WFP, World Food Programme, come detto dalla stessa istituzione più volte. Un altro punto importante è l’assistenza che raggiungerà i più deboli per sopperire alla mancanza di medicine, ospedali e personale sanitario nelle zone travolte dal conflitto. Inoltre, appena le condizioni generali lo permetteranno, molti sfollati interni saranno aiutati a tornare nelle loro case.

Sull’aiuto umanitario va aggiunto che è importante che sia il governo sia il Tplf abbiano convenuto che è consentito solo quello autentico. Una nota che sottolinea ancora una volta che la guerra non è stata combattuta solo sul campo. Le testate internazionali, infatti, con informazioni che arrivavano per lo più dalle organizzazioni umanitarie, hanno scritto fino all’ultimo che in Tigray era in atto una “crisi umanitaria”, che la popolazione era presa per fame, “che la guerra si era trasformata in uno dei conflitti peggiori con una terribile crisi umanitaria”, senza ricordare però chi aveva iniziato la guerra.

Nella regione del Tigray ora saranno ripristinati tutti i servizi che mancano, cominciando dall’elettricità, ma anche linee telefoniche, internet, servizi bancari. Un isolamento di fatto che in questi due anni ha reso difficile, se non impossibile, l’accesso diretto alle informazioni. Un vuoto mediatico riempito fino alla scorsa settimana dal Tplf.

Come scriveva a questo proposito Luca Puddu, analista che ben conosce la situazione in Etiopia, “il Tplf è stato abile a sfruttare le preoccupazioni umanitarie per portare la questione tigrina al Consiglio di Sicurezza Onu. L’ex partito di governo ha in parte riadattato al contesto insurrezionale l’esperienza accumulata nel ventennio precedente”. Senza dimenticare che la causa tigrina è stata rafforzata “dalla presenza di ex alti ufficiali Tplf in punti strategici della burocrazia dell’Onu”.

Mentre sono già in corso i colloqui di Pretoria, il governo di Addis Abeba risponde con fermezza agli attacchi mediatici. Con un comunicato stampa respinge le ingerenze occidentali in appoggio a quella che definisce la propaganda del Tplf. Chiarendo che la propria posizione contro il Tplf non subirà cambiamenti ma che saranno riviste le relazioni con gli Stati e le organizzazioni schierati al loro fianco. E la “propaganda” ritorna nella stipula degli accordi di pace, con un punto in cui si sottolinea che “la fine delle ostilità includerà anche tutte le forme di propaganda ostile, retorica e di incitamento all’odio”.

Una precisazione non superflua se si ricorda che durante l’attacco alla Caserma Nord, quasi in tempo reale, era piombato in rete l’hashtag #TigrayGenocide, diventato poi il leitmotiv del Tplf che in quel modo passava da carnefice a vittima. In una recente ricerca in merito si legge che dal 5 al 20 novembre 2020 sono nati 1.633 account che hanno generato 75.581 tweet sul tema genocidio.

Dopo due fasi acute del conflitto durante le quali si sono registrate forti pressioni mediatiche, e diplomatiche, per spostare l’ago della bilancia a favore del Tplf, la terza fase è stata segnata dalle accuse contro il governo di Addis Abeba e i suoi alleati lanciate da alcune organizzazioni internazionali. Accuse respinte dal governo che ha replicato di combattere contro la disgregazione della nazione, per la pace e la sicurezza del popolo, non contro il popolo.

Sulle televisioni locali in questi due anni sono passate spesso le testimonianze di giovani tigrini, anche bambini, che dicono di essere stati costretti a combattere nelle fila del Tdf per salvare genitori o parenti tenuti in ostaggio, nel caso non lo avessero fatto.

Anche su questo punto nell’accordo di pace si legge che il governo proteggerà i diritti umani della popolazione civile, condannando qualsiasi atto di violenza contro bambini, ragazze, donne e anziani, compreso il reclutamento e la coscrizione di bambini soldato. Il governo si impegna anzi ad aiutare il ricongiungimento familiare.

Questa è una pace arrivata all’improvviso. In molti non ci speravano però, qualche giorno fa, un diplomatico occidentale di stanza ad Addis Abeba, che parla a condizione di mantenere l’anonimato, già la prevedeva. “Il Tplf ha perso la guerra”, dice, “ai dirigenti che hanno portato un intero popolo in un’avventura così catastrofica non resta che arrendersi o trattare per una via di fuga. L’Etiopia potrà così, finalmente liberare la popolazione tigrina dal terrore dei Pol Pot del Tplf e promuovere una nuova primavera di pace e stabilità in tutto il Corno d’Africa. Penso che i colloqui di pace a Pretoria non potranno che certificare la resa militare del Tplf e l’esilio dei dirigenti che sicuramente chiederanno garanzie per loro stessi e per gli ingenti capitali sottratti dalle casse dello Stato”. 

Il problema che ora l’Etiopia si trova a dover affrontare è quello indicato nelle condizioni sottoscritte, “il desiderio del popolo etiopico di vivere in pace in una società democratica, inclusiva, basata su giustizia, eguaglianza e rispetto dei diritti umani.

Ora tutte le zone e le regioni precedentemente occupate dal Tplf sono state liberate, mancava solo il capoluogo del Tigray, Mekelle. Ma anche su questo punto le parti si sono accordate. L’esercito federale entrerà nella città, una condizione che dovrebbe velocizzare la ripresa delle attività e dei servizi, garantendo sicurezza ai cittadini.

Quanto ai punti legati al motivo del conflitto, cioè il rapporto tra governo e Tplf, sulla carta il partito tigrino si impegna a riconoscerne l’autorità, a non “aiutare, favorire, sostenere o collaborare con nessun gruppo armato sovversivo”. Come pure ad abbandonare qualsiasi azione che “pregiudichi l’integrità territoriale”, o provochi un “incostituzionale cambio di governo”. In attesa di elezioni nel Tigray, che torna ad essere parte dell’Etiopia federale, si insedierà un’amministrazione ad interim.

Sulla tragedia e le vite perse da moltissime persone a causa della guerra il governo promette di accertare i fatti perché le vittime abbiano giustizia e verità. Per ora la “buona fede delle parti” è acclarata solo nei punti dell’accordo firmato a Pretoria. Tuttavia non c’è motivo per non pensare che, come scriveva il governo in un comunicato delle scorse settimane, nonostante la guerra, ci fosse solidarietà tra esercito federale e popolo tigrino, che “sta dimostrando di essere dalla parte giusta della storia”, quella dell’accordo di pace.

@Marilena Dolce

 

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