Massolo ad Affari: "Rischio che Putin allarghi la guerra ad altre zone calde"

Il presidente dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale e di Atlantia "fa le carte" alla guerra tra Russia e Ucraina

di Marco Scotti
Giampiero Massolo, presidente di Atlantia
Esteri
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Massolo: "Ci vorrà tempo per trovare un accordo"

“Il vero pericolo della guerra in Ucraina? Che Putin decida di allargare il conflitto anche in altre zone calde come Mali, Bosnia Herzegovina, Caucaso”. Giampiero Massolo, appena eletto presidente di Atlantia, è un esperto di geopolitica. Già ambasciatore, è stato a capo del Dis, il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza e Segretario Generale del Ministero degli Esteri. Oggi è anche presidente dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. Parlare con lui, dunque, è l’occasione per avere un quadro preciso della situazione che stiamo vivendo ai confini dell’Europa.

Ambasciatore, viene quasi da chiedere a che punto è la notte…

Bisogna, come sempre, partire dalla situazione sul terreno. Quello che vediamo oggi è che Putin ha ancora delle ambizioni piuttosto forti di consolidamento nel Donbass, per creare la famosa continuità territoriale con la Crimea. Però non basta, perché le sue intenzioni non sono molto chiare su zone come, ad esempio, quelle a ovest che conducono alla Transnistria. Direi che è prematuro azzardare previsione.

E l’Ucraina?

Anche dal loro punto di vista è prematuro capire che cosa succede e che cosa vuole il presidente Zelensky. Ritengono di avere ancora molto da difendere e stanno perfino ipotizzando una controffensiva. Siamo in un momento di attrito in cui parlare di negoziati effettivi è prematuro. 

Chi deve parlare per primo? La Nato?

Sono gli ucraini a doverci dire che cosa vogliono fare, che cosa ritengono negoziabile e che cosa invece no. Una volta fatto questo, bisogna anche capire quali sono le volontà di Putin per un eventuale cessate il fuoco. I buoni uffici, ad esempio, della Turchia sembrano essere molto utili. Ma sono, appunto, buoni uffici, che non hanno alcuna valenza pratica. 

Che cosa rischiamo?

Che la situazione si cristallizzi a livello negoziale, che nessuno voglia fare la prima mossa e che il conflitto si prolunghi.

Potremmo vedere un coinvolgimento della Nato?

Direi proprio di no: la prima regola d’ingaggio dell’Occidente è che non ci deve essere il confronto diretto. E questa regola continua a essere vigente, dunque questo esclude soluzioni radicali. Mi sembra che al momento il mix tra sanzioni economiche e invio di forniture militari all’Ucraina stia funzionando, perché sembra far pagare a Putin un prezzo piuttosto alto per questa guerra.

Quali sono i rischi più gravi che vede all’orizzonte?

Più che un’escalation di armi, vedo la possibilità di un allargamento del conflitto in scenari ulteriori, come il Mali, la Bosnia Erzegovina, il Caucaso. Sono tutte realtà dove si possono provocare incidenti, riacutizzando tensioni latenti che costringerebbero a spostare l’attenzione occidentale dall’Ucraina, meno probabile un confronto diretto con la Nato e i Paesi attuali che ne fanno parte. 

Dicendo “attuali” esclude automaticamente Svezia e Finlandia?

No, ma non bisogna confondere la lotta sul campo con la tattica geopolitica del futuro. L’adesione dei due Paesi nordici alla Nato, rispettabilissima, avviene perché temono un attacco da parte della Russia. Fa parte del gioco futuro e del mondo di domani con cui dovremo confrontarci anche quando il conflitto in Ucraina si sarà chiuso. 

Per quanto riguarda le armi, ora si parla di laser impiegati dall’esercito di Mosca: siamo in una nuova fase?

Mah, mi lascia molto tiepido il tentativo di fare differenze tra armi offensive e difensive. L’unica cosa che mi sembra evidente è che si tenta in ogni modo di evitare l’invio di armi a lunga gittata, perché queste potrebbero essere impiegate per arrivare in territorio russo, dando vita a un’escalation che nessuno vuole.

C’è un rischio nucleare, seppur tramite l’impiego di armi “tattiche”?

Partiamo dall’assunto che è vero che si tratta di ordigni a carica molto bassa e a valenza locale. Ma stiamo sempre parlando di armi nucleari. Io penso che nemmeno Putin possa spingersi così in là, perché deve sempre fare un discorso tra costi e benefici e l’impiego di questo tipo di strumenti bellici avrebbe un prezzo altissimo. 

Nella prossima pagina: la strategia di Atlantia e l'opa di Edizione con Blackstone

Recentemente è stato in missione negli Stati Uniti: che cosa ci può raccontare?

Ero a Washington in quanto membro dell’Atlantic Council che ha premiato Draghi. Da lì mi sono spostato a New York, perché faccio parte del comitato promotore della candidatura di Roma per l’Expo 2030. 

Cambiando radicalmente discorso, come procede l’opa di Atlantia?

Si tratta di uno strumento difensivo, totalitario, che mira a delistare la società e a metterla in sicurezza. È un’operazione condotta da Edizione e da Blackstone, cui si sono aggiunti altri soci. L’idea è quella di fare di Atlantia una grande piattaforma globale d’investimenti nel settore della mobilità integrata e sostenibile, con l’impiego delle nuove tecnologie per migliorare il rapporto con gli utenti. Per fare questo è necessaria una continuità di gestione e una sicurezza d’investimento. 

Prevede che qualcun altro venga coinvolto?

Allo stato attuale direi di no, l’operazione è riservata ai soggetti che le dicevo prima. Poi certo, vedremo che cosa succederà quando materialmente avverrà l’opa.

Parliamo di business: il mondo del trasporto aereo come sta?

C’è un incoraggiante ritorno dei passeggeri, i volumi stimati sono dell’85% rispetto al pre-Covid.

Pensate di fare nuove operazioni?

Al momento abbiamo Aeroporti di Roma, quello di Nizza e uno stake in quello di Bologna. Ma guardiamo a eventuali possibilità ulteriori, anche perché i prezzi sono ancora bassi dopo due anni di pandemia.

Lei è stato presidente di Fincantieri: l’ha stupito vedere che Giuseppe Bono non è stato confermato nell’organigramma societario, magari prendendo il suo posto e lasciando le deleghe più operative?

Bono dice che i cicli iniziano e finiscono. Lui ne ha avuto uno molto importante e può ancora significare tanto per la politica industriale. Spero che la sua esperienza non vada perduta.

Si è malignato molto che non ci sia stato un passaggio di consegne tra Bono e il nuovo ceo Pierroberto Folgiero…

Posso smentire perché ero presente: c’è stato eccome un passaggio di consegne, solo che non è avvenuto quando tutti se lo aspettavano. E per questo qualche suo collega ha pensato che ci fossero dei problemi…
 

 

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