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L'avvocato del cuore
Coronavirus, "devo rinunciare alla mia colf?". Il dpcm chiarisce anche questo

“Gentile Avvocato, in questi giorni di emergenza e limitazioni negli spostamenti e al  lavoro, devo rinunciare alla mia colf, che è con me da anni ed è regolarmente assunta?”

Se è vero che, chiusi in casa da ormai due mesi, tutti quanti stiamo (ri)scoprendo il piacere, o la necessità, di sbrigare le faccende domestiche, è altrettanto vero che molte famiglie italiane, e non solo le più abbienti, hanno alle loro dipendenze collaboratrici familiari (meglio note come colf).

Collaboratrici che, in tempi “normali”, si occupano della pulizia della casa, di fare la spesa, di cucinare e, spesso, anche di curare i bambini (pur se, nelle loro mansioni ufficiali, per contratto collettivo nazionale, non rientra il babysitting); mentre, di questi tempi, diventano necessarie prima che utili, consentendo, a chi può, di andare a lavorare senza dover lasciare i figli soli in casa.

Così fornendo un ancora più concreto aiuto alle famiglie, evitando ai genitori lavoratori di accedere agli aiuti alternativi offerti dallo Stato (congedo parentale o bonus baby sitter) o addirittura di rinunciare alla propria occupazione per poter seguire i figli.

Queste figure professionali rientrano, fin dall’inizio dell’emergenza Covid19, nelle categorie At.Eco, considerate essenziali dai vari DL e DPCM succedutisi nelle ultime settimane. E, quindi, possono continuare a prestare regolarmente la loro attività, senza particolari divieti né limitazioni “di legge”.

Per quanto, per ragioni igienico-sanitarie, è necessario che anche le lavoratrici domestiche rispettino le, ormai famose, indicazioni comportamentali e protettive a tutela della salute loro e degli altri (utilizzo della mascherina, evitare contatti diretti, non recarsi al lavoro se hanno la febbre ecc.).

Naturalmente, ciò vale per le lavoratrici domestiche regolarmente assunte con contratti registrati e attualmente in essere. Indipendentemente dal tipo di contratto (a tempo indeterminato o determinato) e dalla durata del rapporto di lavoro.

Le lavoratrici che, invece, non risultano formalmente assunte, per scelta loro o per imposizione del datore di lavoro, e prestano, magari anche da anni, la propria  attività “in nero”, non possono raggiungere le case ove, pur non in regola, abitualmente lavorano.

Se non correndo il rischio, in caso di controlli di polizia, di incappare nelle sanzioni previste per chi esce da casa senza esservi autorizzato, non potendo certo invocare, validamente, il motivo di lavoro.  

Nello stesso tempo, anche per le lavoratrici domestiche regolari, giusta la necessità del distanziamento sociale, ben può essere opportuno evitare il più possibile la loro permanenza nelle case dei loro datori di lavoro. A meno che, per contratto, non vi abitino anch’esse.

Il Governo, in tal senso, ha quindi “vivamente consigliato”, pur senza arrivare a un vero e proprio ordine, di approfittare del momento di emergenza per far godere, ove possibile, anche alle colf ferie e permessi non retribuiti.

Certo, non sarà mai quello delle collaboratrici domestiche, il caso nel quale sia possibile incentivare, come suggeriscono i vari decreti in vigore, il lavoro a distanza, il c.d. smart working. Altrimenti, ci si troverebbe non solo a fare le pulizie di casa, ma anche a farle seguendo le direttive telefoniche delle colf!

Avv. Andrea Prati-Studio Legale Bernardini de Pace

 

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