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L'avvocato del cuore
I figli hanno diritto ad avere due genitori non litigiosi. L'avvocato risponde

Il “litigioso” non piace a nessuno: gli amici e i colleghi di lavoro o, semplicemente, i conoscenti lo evitano, mentre i giudici, quando immancabilmente varca la soglia della loro aula, gli riservano una legge ad hoc, e cioè la “legge dantesca del contrappasso”, invitandolo alla moderazione prima e al compromesso poi. Lombroso, medico, ma anche giurista e, in questa veste, antesignano della criminologia moderna, attribuiva al litigioso caratteristiche “fisiognomiche” del tutto peculiari. Oggi, per fortuna, si è smesso di associare i tratti estetici dell’aspetto fisico e corporeo alla personalità dell’individuo, per evitare di alimentare il pregiudizio (nel senso letterale del termine: il giudizio espresso prima di conoscere qualcuno). Quando si è vittime del pregiudizio si è marchiati da un’etichetta – sempre negativa e indelebile – che è causa di impoverimento e diradamento dei rapporti sociali. La prima terribile conseguenza della stigmatizzazione è, infatti, l’emarginazione. A volte i giudici sono involontariamente promotori del pregiudizio perché etichettano le parti del processo con lo stigma della “conflittualità” essendo convinti che la verità stia sempre nel mezzo: la crisi del matrimonio è imputabile in parte al marito e in parte alla moglie. Colpevoli a metà. Sempre e comunque.

Affermare l’esistenza di una verità mediana è una delle cose più strampalate che sia mai stata detta e scritta. C’è, infatti, un numero imprecisato di persone, tra le quali mogli e mariti, a volte anche padri e madri, che hanno “solo” torto. Ci sono specularmente le persone e, quindi, tra loro i coniugi e i genitori che hanno “solo” ragione e poi ci sono quanti “in parte” hanno ragione e “in parte” hanno torto. Ed è giusto che questi ultimi si attivino in giudizio per far emergere nella sentenza la ragione – o la parte di ragione - che vantano. Quello che non è giusto, invece, è accomunare mogli e mariti e, allo stesso modo, madri e padri - allorquando sono parti processuali di una causa di separazione e di divorzio - nella generica “categoria della conflittualità”, equiparandoli sullo stesso piano. Il compito del giudice è quello di accertare torti e ragioni, evitando frustranti generalizzazioni che, oltretutto, si espongo al pericolo di essere lette dalle parti processuali come denegata giustizia, e cioè comoda scappatoia per emettere comode sentenze salomoniche.

Che non accontentano nessuno, ma scontentano tutti. Il Tribunale di Milano, con ordinanza ormai risalente a cinque anni addietro, datata 9/7/2015, ma ancora attualissima, ha codificato dei principi indirizzati a guidare i cittadini nella difficile decisione di radicare o meno la causa. Tra le righe è scritto che le cause inutili o pretestuose debbono essere bandite perché rappresentano sia un danno, anche erariale, per il sistema giudiziario sia un danno per gli equilibri familiari indispensabili quando ci sono figli minorenni. Questi ultimi sono e restano titolari, specie quando i genitori litigano in tribunale, del diritto alla bigenitorialità, e cioè del diritto di conservare rapporti continuativi, appaganti e armoniosi con entrambi. Ancorché separati e divorziati, dunque, i genitori restano tali e devono occuparsi dei loro figli con spirito di collaborazione, mettendo da parte la litigiosità sterile e fine a se stessa.

E così il Tribunale di Milano ci insegna quanto sia sbagliato litigare per mero spirito di rivalsa, e cioè per punire il marito fedifrago escludendolo dalla vita del figlio: “Non è sostenibile che un marito fedifrago sia consequenzialmente un padre inadatto: la violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio non giustifica affatto un affido monogenitoriale o una limitazione del diritto di visita del padre. Non solo. La madre che utilizzi l’infedeltà del marito come argomento per incidere sul rapporto genitoriale tra padre e figli pone in essere una condotta scorretta”.

E, ancora, l’ordinanza milanese precisa che la moglie con problemi psicologici non è per ciò solo una mamma inadeguata da attaccare con iniziative giudiziarie strumentali ad allontanarla dal figlio: “L’insieme dei preconcetti che circondano la malattia mentale crea una sorta di marchio invisibile cosicché i danni alla persona derivano non dalla patologia, ma dal modo in cui la società la ripudia e stigmatizza. Da ciò consegue che la misura dell’affidamento monogenitoriale dei genitori – se giustificata per la sola patologia del genitore - costituirebbe applicazione mera dello stigma”.

In conclusione, né il genitore “colpevole” del tradimento né quello “incolpevole” di essersi ammalato vanno perseguiti - inutilmente - nelle aule di giustizia perché così si nuoce ai figli i quali hanno diritto ad avere due genitori. Non litigiosi. Gli articoli 96 e 709 ter del codice di procedura civile puniscono chi, sapendo di avere torto, ha radicato comunque il giudizio: costui deve risarcire il danno in uno con le spese giudiziali. Gli attaccabrighe, specie quando sono padri e madri indifferenti al diritto alla bigentorialità dei loro figli, non piacciono ai giudici, i quali però non possono isolarli o evitarli, così come fanno le persone comuni nelle reazioni sociali o amicali, ma possono toccarli nella cosa generalmente più cara alle persone senza scrupoli: il denaro.

* Studio legale Bernardini de Pace 

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