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L'avvocato del cuore
Separazione, via il "tenore di vita" come criterio di calcolo per l'assegno

I tre milioni di euro mensili liquidati, anni addietro, dal Tribunale di Milano, a titolo di assegno di mantenimento, nell’ambito di un procedimento di separazione arrivato alla ribalta delle cronache per la notorietà dei suoi protagonisti, sono un lontano ricordo. La Cassazione ha stabilito, il 15 ottobre dello scorso anno, che “il tenore di vita non esiste più”: la moglie o il marito che decidono di separarsi non possono più pretendere - o essere condannati a pagare - assegni ancorati agli agi del matrimonio perché il riferimento al tenore di vita goduto in passato, quando la famiglia era unita, felice e senza dissapori, è anacronistico.

Non esisteranno più neanche gli assegni che - per tornare all’esempio introduttivo, eccezionale, ma decisamente icastico - hanno permesso alla moglie beneficiaria di spendere centomila euro al giorno. I giudici della Cassazione hanno ritenuto che non fosse più utile distinguere il percorso logico diretto sia a stabilire l’an degli assegni di separazione e divorzio sia a misurare il quantum perché sarebbe stato preferibile uniformarlo (impiegando i cosiddetti criteri “assistenziale, compensativo e perequativo” identificati con la nota “sentenza Grilli”, criteri poi chiariti dalle Sezioni Unte dalla Corte).

In concreto qual è l’iter decisionale del giudice quando si trova davanti alla domanda di mantenimento di uno dei coniugi? Il percorso è questo: a) deve accertare se vi sia disparità tra le condizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi; b) deve stabilire se, esistendo tale disparità, uno dei coniugi si trovi in condizioni economiche tali da non potersi permettere una vita dignitosa a causa di una situazione incolpevole; c) deve concludere se, pur in condizioni di vivere una vita dignitosa, uno dei coniugi sia pregiudicato rispetto all’altro in quanto la sperequazione tra le condizioni economiche trae origine dalle scelte matrimoniali condivise. Mentre il criterio del tenore di vita è abbastanza intuitivo, essendo ancorato a elementi materiali e visibili, non altrettanto può dirsi per quello “compensativo”, ancorato a elementi immateriali e invisibili. Cosa significa “compensare”? Questo criterio evoca il concetto di “riconoscenza”.

Un marito che, per esempio, è sempre stato platealmente riconoscente e grato alla moglie, tributandole il merito della sua realizzazione personale e del suo successo politico, è Barack Obama. Se ha centrato l’obiettivo della felicità che, nella Costituzione americana, è il bene più importante cui ambiscono tutti i cittadini, questo lo deve a Michelle. O - anche - a Michelle. Lei ha messo da parte le sue ambizioni professionali e si è dedicata completamente alle figlie e al marito, sostenendolo in tutte le occasioni pubbliche ove la First lady deve essere al fianco del Presidente. Se Obama, in ipotesi, fosse soggetto alla giurisdizione italiana, e Michelle, sempre in ipotesi, decidesse di avviare la separazione, il giudice non avrebbe difficoltà a capire quanto lei sia stata determinate nella vita e nella realizzazione personale, sociale e spirituale del marito. Liquiderebbe, senza ombra di dubbio, l’assegno di mantenimento a suo beneficio.

Il nostro giudice della famiglia, tuttavia, non sempre si troverà davanti a situazioni lampanti come questa, ma dovrà, comunque, avere il coraggio di liquidare assegni adeguati (non necessariamente tre milioni di euro al mese) quando l’istruttoria del procedimento dimostrerà che la coppia dei coniugi - oggi in lite – somigliava, in passato, ai coniugi Obama. L’orientamento della giurisprudenza, pertanto, è quello di ancorare la decisione del giudice sull’assegno a un’“approfondita ricostruzione della singola vicenda matrimoniale, in tutte le sue particolarità che possono assumere rilievo per evidenziare il contributo personale del coniuge istante nella realizzazione della vita matrimoniale”. Ricostruire la “singola vicenda matrimoniale” significa ammettere il trionfo della giustizia del caso singolo: in tribunale non approdano più “i coniugi”, ma “quei coniugi”.

E ciascuno di loro, guardandosi indietro, potrà e dovrà cominciare a valorizzare, con onestà e capacità di valutazione critica, il sostegno e il contributo che, in passato, è stato capace di “dare e ricevere”, in un mutuo scambio, anziché recriminare sulle colpe del presente. Ogni coppia potrebbe e dovrebbe fare l’opposto di quello che normalmente fa quando decide di separarsi: anziché rinfacciarsi le rispettive colpe, potrebbe cominciare a riconoscersi i rispettivi meriti. La gratitudine potrebbe orientare i coniugi nella rivisitazione e rilettura dell’esperienza matrimoniale. Chissà se, tra le righe, i giudici della Cassazione, rivoluzionari in questa reinterpretazione della vita matrimoniale, ci abbiano voluto dire proprio questo. O anche questo: ti aiuto e ti tendo la mano, nonostante la fine del nostro matrimonio, perché hai fatto di me una persona felice, che ha potuto gioire quando i nostri figli si sono laureati e si è potuta concentrare nel lavoro, maturando il diritto alla pensione, mettendo da parte risparmi, acquistando immobili. Si torna, sì, alla materia, ma passando attraverso lo spirito.

 

Avvocato Valentina Eramo - Studio Legale Bernardini de Pace

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