Lo sguardo libero
Flottiglia per Gaza, Israele tra diritto del mare e contestazioni

Quasi tutte le navi della Global Sumud Flotilla sono state intercettate dalla Marina israeliana. Gli equipaggi stanno bene e saranno espulsi. Secondo il ministro degli Esteri Antonio Tajani, già domani alcuni attivisti italiani saranno rimpatriati.
Il dato giuridico di partenza è chiaro: dal 2009 Israele ha dichiarato un blocco navale su Gaza, misura prevista dal diritto internazionale dei conflitti armati in mare (Manuale di Sanremo, 1994). È questa la base che consente a Israele di rivendicare la legittimità dell’intercettazione anche in acque internazionali. Non a caso parlare di “pirateria” è improprio: in diritto internazionale, la pirateria è un atto di navi private per fini privati. Qui invece agisce una marina statale nell’esecuzione di un blocco militare dichiarato.
Il nodo riguarda la natura delle acque di fronte a Gaza. Secondo gli Accordi di Oslo (1993), sarebbero dovute passare sotto giurisdizione palestinese, con Israele responsabile solo della sicurezza esterna. La comunità internazionale non ha mai riconosciuto a Israele la sovranità su quel tratto di mare, considerandolo parte di un territorio occupato. È su questo che si concentra la critica di molti giuristi, i quali ricordano che la libertà di navigazione in acque internazionali non può essere limitata se non in casi molto specifici (pirateria, tratta, SOS) e che un blocco non può impedire l’ingresso di beni essenziali alla sopravvivenza civile.
Cionondimeno, Israele non agisce fuori da ogni riferimento normativo: il blocco navale è formalmente dichiarato ed è quello che applica. La vera controversia riguarda dunque l’interpretazione e, soprattutto, la proporzionalità.