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Lo sguardo libero
Letta va fuori tema su idea aumento tassa successione per dare dote a giovani
Enrico Letta 
Lapresse

La proposta del segretario del Pd Enrico Letta di una tassa di successione più alta sopra i patrimoni di cinque milioni di euro per dare una dote di circa 10.000 euro alla metà dei diciottenni italiani sulla base dell’Isee familiare, ha poca fortuna. È lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi a liquidarla: “Non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli. L’economia è ancora in recessione”. C’è da credergli. Dal 2011 al 2019 Draghi ha guidato la Bce durante la crisi del debito sovrano europeo, è stato l’artefice del quantitative easing e la sua famosa frase, “whatever it takes”, ha rappresentato la volontà di difendere l’euro a tutti costi, persino con alcuni membri del board contrari.

Probabilmente c’è stata anche un’incomprensione di metodo. L’ idea di Letta è stata pubblicata sul settimanale “Sette”, era quindi preparata da tempo e non deve fare piacere al premier che i leader dei due tra i principali partiti della maggioranza, Letta con questa proposta, Matteo Salvini finora per esempio col più semplice consiglio di abolire il coprifuoco imposto dalla pandemia, diano periodici suggerimenti fuori programma, come per dire al proprio elettorato: “Anche noi contiamo”.  Per giunta è probabile che adesso anche Salvini farà una sua proposta originale.

Nel contesto del parere di Letta, è improbabile che Draghi accetti di fare la riforma fiscale sulla base delle intenzioni dei partiti. È stato scelto dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, per condurre l’Italia fuori dall’emergenza sanitaria e per assecondare il Recovery Fund: e la riforma del fisco è strutturale, una di quelle di cui Roma deve rispondere a Bruxelles.  Stiamo parlando di un tema gigantesco. Il PNRR (Piano Nazionale Ripresa Resilienza) è un disegno di 248 MLD, tra 191 di Next Generation EU (69 di prestiti e 122 a fondo perduto) e altri stanziati dal Governo.

L’idea di Letta sembra riflettere quell’incapacità storica della sinistra nell’assecondare appieno l’economia democratica e liberale, che genera ricchezza e benessere per tutti. Sulla base di fondamentali principi: sì da un lato a pari opportunità, inclusione sociale e giustizia fiscale, ma dall’altro sì anche alla competitività e al merito: dare la dote a metà dei diciottenni è discriminante nei confronti dell’altra metà e un giovane che vuole lavorare svegliandosi alle cinque del mattino, 10.000 euro li guadagna. La differenza sta tra una visione che contempli più o meno Stato – oggi, dalla Ue alla Amministrazione di Joe Biden in USA, la tendenza è di puntare su politiche economiche espansive – e tra progressismo e conservatorismo.

Draghi ha dato un messaggio importante alle classi imprenditoriali, che oggi votano per Lega e Fratelli d’Italia. Senza il consenso di tali settori, è difficile che la sinistra governi con una solida maggioranza. Lo capì, mutatis mutandis, Tony Blair, laburista, primo ministro del Regno Unito dal 1997 al 2017, sul cui pensiero, attualizzato e non scimmiottato, la sinistra dovrebbe riflettere (se non altro nel nome dello strumento manageriale del benchmarking). Così Anthony Giddens, rettore della prestigiosissima London School of Economics, definì la cosiddetta Terza Via (Third Way) di Blair: “Qualcosa di diverso e distinto dal capitalismo liberale – con la sua fedele credenza ai meriti e alle qualità positive del libero mercato – e dal socialismo democratico – con la sua ossessione dell'interventismo economico e del potere dello Stato. La Terza Via è a favore di una crescita, dell'imprenditoria e delle imprese in generale e della creazione di un sistema sanitario, ed è anche sostenitrice di giustizia sociale e vede lo Stato come impegnato nel portare avanti il ruolo di diffondere queste idee. La Terza Via rifiuta sia il socialismo che il neoliberismo classico”.

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