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Lo sguardo libero
Libri/ Veronica Raimo: “La vita… così ambigua e frustrante”
Veronica Raimo è nata a Roma nel 1978. Ha scritto romanzi, raccolte di poesie e racconti. Cosceneggiatrice del film Bella Addormentata (2012) di Marco Bellocchio. È traduttrice dall’inglese e si occupa di giornalismo culturale

Dalla scuola alle amicizie ai parenti, dalle canne al sesso ai soggiorni a Berlino

Non solo ironia, come ricordato dalle molte critiche che hanno positivamente accolto il nuovo bel romanzo della scrittrice romana Veronica Raimo (“Niente di vero”, Einaudi, pagg. 162, euro 18,00), c’è qualcosa di reale, che forse ricorda la vita di tutti: ambiguità e frustrazione, come conferma l’autrice proprio nell’ultima pagina del libro: “Scrivo cose ambigue e frustranti”.

E ancora. Chi siamo? “A volte mi chiedo – scrive - se l’indeterminatezza costante in cui vivo dipenda da una mia caratteristica innata: non mi riconosce nessuno”.

Perché la maggioranza delle persone è velleitaria? Molti si ritroveranno in questa descrizione: “Non ho mai un’immagine di me nel futuro che non fosse del tutto velleitaria. Le velleità di solito servono a ingannare sé stessi, mentre io volevo ingannare gli altri”.

Una storia divertente e ironica. Vero.  L’autrice ingigantisce certe situazioni, piace e risulta efficace il congruo utilizzo di figure come l’antitesi e il parallelismo. Così descrive l’attenzione che la madre prova per lei e il fratello Christian, anch’egli scrittore: “Se l’ansia di mio fratello ancora oggi la spinge a fantasticare su scenari di desaparecidos argentini, quella nei miei confronti non si tinge mai di eroismo, casomai di erotismo. Ai suoi occhi nessuno è intenzionato a farmi fuori, ma semplicemente a farmisi.”

Il contesto è romano. Madre insegnante, papà responsabile del personale in un’azienda, fratello scrittore. Poi ci sono le scuole, le letture (“Io e mio fratello siamo diventati tutti e due scrittori. Non so cosa risponda lui quando gli chiedono come mai, io dico che è grazie a tutta la noia che ci hanno trasmesso i nostri genitori.”), le vacanze dai parenti nel Salento, le amiche, il sesso (“Un amplesso richiederebbe troppo investimento dialettico, troppe variabili fuori controllo (…). Arrivo all’orgasmo come alla fine di una serie tv, quando restano solo il vuoto e la delusione.”), Radio 3 sempre in sottofondo, le canne, i viaggi a Berlino.  

Abitavamo – racconta - in un palazzone appena ridosso dei caseggiati popolari di Ponte Mammolo e Rebibbia, un edificio fondamentalmente identico nel concetto di conglomerato edilizio ma che, a differenza dei caseggiati popolari, vantava un rivestimento di erba sopra i box per le macchine, siepe di oleandro potata e un cancello scorrevole automatico atto a simulare una rete di protezione per il ceto medo con auto aziendale”.

Colpisce la medietà di alcune riflessioni: “Diffido dagli uomini alti. Mi trovo a mio agio con l’ambizione frustrata di scavalcare il metro e settanta. Ci si abbraccia meglio, ci si guarda meglio negli occhi, ci si possono scambiare i vestiti e non si è costretti a regolare ogni volta il sellino della bici”.

Gli uomini? “È immensa la generosità degli uomini, così immensa che mi commuove sempre. È incommensurabile ciò che offrono rispetto al poco che chiedono in cambio. Una sproporzione che sfida ogni legge del profitto e mi lascia inebetita, senza parole”.

Ricordare fa bene. Tuttavia, l’autrice, a conclusione di questo importante lavoro, suggerisce prudenza: “La maggior parte dei ricordi ci abbandona senza che nemmeno ce ne accorgiamo: per quanto riguarda i restanti, siamo noi rifilarli di nascosto, a spacciarli in giro, a promuoverli con zelo, venditori porta a porta, imbonitori, in cerca di qualcuno da abbindolare che si abboni alla nostra storia”.

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