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Lo sguardo libero
Terzo mandato, non si utilizzino le istanze del popolo in modo strumentale
Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, con le norme attuali non potrebbe ricandidarsi nel 2025.

Uno dei principi fondamentali della democrazia è la regola dell’alternanza. Il potere a lungo gestito crea ambiti chiusi, cerchi (più o meno) magici e come tale è antimeritocratico

Non passa al Senato l’emendamento proposto dalla Lega al dl Elezioni - già bocciato in commissione - per consentire tre mandati ai presidenti delle Regioni. Ne trarrebbe giovamento, al pari di quello Pd della Campania, Vincenzo De Luca,  il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che con le norme attuali non può ricandidarsi nel 2025. Che questo sia un tema essenziale per il partito di cui è segretario Matteo Salvini, lo dimostra il fatto che nelle ore prima della votazione sembrava che la Lega avrebbe proposto un altro emendamento, per abolire il ballottaggio per i sindaci delle grandi città che superino il 40% dei voti. Questa tecnica viene definita dagli spin doctor “della distrazione”. Tecnica che ha funzionato tanto è vero che l’opposizione ha gridato allo sfregio alla Costituzione riferendosi all’ emendamento sui sindaci e ignorando quello nodale sul terzo mandato.

È importante ribadire perché il terzo mandato non faccia bene alla democrazia. Uno dei principi fondamentali di quest’ultima è l’alternanza: il potere a lungo gestito crea ambiti chiusi, cerchi (più o meno) magici e come tale è antimeritocratico.  Si pensi agli Usa, dove il presidente può essere eletto al massimo per due incarichi consecutivi. A chi obietta: “A questo punto poniamo il limite di mandato anche per i parlamentari!”, si può rispondere: un conto è il potere di chi governa, altro di chi fa le leggi. Si guardi ancora oltreoceano, dove un parlamentare può svolgere più mandati. Per intenderci, ha più potere Luca Zaia o la più volte parlamentare Emma Bonino? Hanno avuto più potere i presidenti Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama o Ted Kennedy nei suoi 50 anni da senatore?

A chi replica: “Lo chiede il popolo!”, si può ribattere che nella democrazia liberale, che pure prevede forme di democrazia diretta – come nel caso dell’elezione dei sindaci e dei governatori – è sconveniente assecondare istanze popolari con finalità strumentali. Se l’opinione popolare chiedesse sei mandati per i governatori? Sono ovvie le ragioni per cui i rappresentanti della democrazia liberale sarebbero contrari.

 

 






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