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Lo sguardo libero
Vaticano impugna ddl Zan, sesso rimane tabù della Chiesa

Per la prima volta dalla istituzione dei Patti Lateranensi, che regolano i rapporti tra Italia e Vaticano, firmati nel 1929 dal card. Pietro Gasparri e da Benito Mussolini, e rivisti e sottoscritti dal card. Agostino Casaroli e da Bettino Craxi nel 1984, gli stessi accordi vengono utilizzati dalla Santa Sede per chiedere allo Stato italiano di modificare l’iter di una legge della Repubblica: il ddl Zan, ossia il disegno di legge sulla omotransfobia. A fare esplodere il caso non poteva che essere l’ambito sessuale. Il sesso è il tabù della Chiesa cattolica:  che non riconosce l’omosessualità come fatto naturale, indifferente e umano; che  a causa dei preti pedofili ha perpetrato abusi e inflitto dolore a  tanti giovani di tutto il mondo; che costringe i sacerdoti alla solitudine del celibato allontanando i giovani da tale missione. Il nostro Governo dovrebbe essere fermo nel ribadire alla Santa Sede che la Repubblica e lo Stato sono laici.

Tuttavia, nella fattispecie, uno dei timori della Chiesa è che il disegno di legge che prende il nome dal deputato del Pd Alessandro Zan, metterebbe in discussione la libertà di organizzazione, di riunione e di espressione dei cattolici. Per esempio, sotto accusa ci sarebbe l’articolo 7 che non esenterebbe le scuole private dall’organizzazione di attività in occasione della nascitura “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia” (perché non fare un passo indietro su questo punto qualora il Governo decida di accogliere i dubbi del Vaticano?). Per giunta, per i fautori del ddl Zan la distinzione presente nel sistema e nei rimandi del provvedimento tra “propaganda” e “istigazione” (alla discriminazione e violenza) consentirebbe ai cattolici di esprimere le proprie opinioni (la propaganda è appunto la divulgazione di opinioni per convincere le persone) sull’argomento senza incorrere in sanzioni.

Più delicata la questione della identità di genere: “identificazione – recita l’articolo 1 del disegno di legge - percepita e manifesta di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Concetto disapprovato dal centrodestra e da parte del movimento femminista, che vorrebbero ci si riferisse al sesso biologico. Qui si leva qualche dubbio. Con un iperbole, il rischio è che il ragazzino Francesco torni dalle vacanze estive e dica all’insegnante: “Da quest’anno scolastico sono Francesca”. Ipotesi non fantascientifica in una società sentimentale e disordinata come l’attuale. Si pensi alla cosiddetta gender fluidity, di moda tra adolescenti e personaggi del mondo dello spettacolo (si vedano le band coi musicisti truccati da donna, gli influencer con le unghie colorate, uomini con le gonne…). Una certa ambiguità sessuale, come spiega la psicologia evolutiva, è un passaggio adolescenziale naturale, ora sembra che questa condizione provvisoria venga superficialmente accolta come definitiva. E se un giovane dicesse di essere un coccodrillo e di volere fare una chirurgia plastica per assomigliargli? Un cambiamento di genere, transito o no, dovrebbe essere un percorso accompagnato, meditato dal soggetto in causa e verificato dagli esperti. “Io faccio e sono quello che voglio a seconda di come mi sveglio” è ammissibile in taluni blog e nelle canzonette.

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