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Prima serata
Ascolti tv, le parole di Di Matteo e il martirio del giudice Occorsio

Rai Tre (guidata da Stefano Coletta), come abbiamo già avuto modo di scrivere, è una rete ricca di momenti interessanti, a tutt’oggi la più qualitativa del servizio pubblico, ma carente di una visione d’insieme - perché figlia o vittima di una crisi di identità di ‘area’ che risale a diversi anni fa - visione che ne identifichi chiaramente la missione, soprattutto ora che la sinistra partitica ma anche soprattutto sociale deambula a vuoto e non si capisce che evoluzione - o definitiva involuzione - possa intraprendere.

Nino Di Matteo
 

Tradizionalmente la terza rete Rai era quella più vicina ai movimenti anti-mafia e alla società civile che la combatteva (come anche il TG3, che può contare su inviati di pregio come Fabrizio Feo) e di questa prossimità restano ancora qua e là guizzi d’indubbio interesse. Tra questi annoveriamo senza dubbio il documentario ‘Nel nome del popolo italiano’, dedicato venerdì scorso, in seconda serata, al martirio del giudice Vittorio Occorsio, e reso attualissimo dalla sentenza del tribunale di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia e dalle drammatiche dichiarazioni di Nino Di Matteo, andate in onda proprio sulla stessa rete, ieri pomeriggio.

Il documentario, diretto da Gianfranco Pannone e realizzato con accuratezza e delicatezza da Gianmarco Tognazzi, ripercorre la figura del PM napoletano che, come recita il comunicato Rai, nell’aprile del 1976 "fu il primo magistrato ad occuparsi della loggia massonica segreta P2 e ad indagare sui rapporti tra terrorismo neofascista, massoneria e apparati deviati del Sifar. Fu ucciso a Roma la mattina del 10 luglio del 1976, mentre si recava in ufficio con la sua auto. La rivendicazione dell’attentato fu firmata da Ordine Nuovo. Per il suo delitto fu condannato come esecutore materiale Pierluigi Concutelli, ma i mandanti non sono mai stati identificati”.

piercamillo davigo
 

Occorsio è uno dei 27 magistrati uccisi nel nostro Paese solo perché facevano il loro lavoro, ricorda l’ex presidente di ANM Piercamillo Davigo. Il docufilm viene introdotto da una sorta di scheda finalizzata a spiegare chi fosse quel giudice e il periodo storico in cui le sue indagini videro la luce, che si rivela però decisamente carente, troppo criptica e autoreferenziale per il telespettatore che non fosse già a conoscenza della vicenda. Nonostante la faticosa partenza, il programma riesce ad alternare un preziosissimo materiale d’archivio con interviste indimenticabili, come quella di Bruno Vespa al figlio del giudice martire Eugenio (oggi quotato giornalista economico al quotidiano La Repubblica) realizzata a pochi giorni dalla morte del padre.

bruno vespa 500 (3)
 

Toccanti sequenze intervallate a loro volta con sprazzi dedicati all’altra figlia del giudice, Susanna Occorsio, nonché ai due nipoti Vittorio e Luca che, come essi stessi ribadiranno, non lo conobbero mai, ma che proprio perché ne parlano con distacco, ne trasmettono lo spirito di uomo integerrimo e nobile d’animo. L’elemento unificante del tutto è il tema della solitudine di chi combatte per lo stato , in passato come anche nel presente. Che Occorsio, come Rosario Livatino, e come tanti altri amministratori della giustizia, poliziotti e carabinieri (mi piace ricordare qui anche il carabiniere Carmine Tripodi, assassinato dai clan di San Luca nel 1985 di cui mai nessuno parla) sia stato lasciato solo, è assodato.

Tutte le interviste contenute nell’inchiesta di Rai Tre riescono a sottolineare quanto questo isolamento possa contribuire a creare i presupposti ambientali e sociali affinché chi si espone contro clan, le forze oscure dello Stato e i terroristi sia in continuo, concreto pericolo e spiegano, altresì, in modo inequivocabile che la vicinanza o meno delle istituzioni arrivi a determinare una eventuale condanna a morte del soggetto che rischia con il proprio lavoro. Come ricorda Paolo Graldi, Occorsio non era un servo – claim sinistro ripetuto dai suoi violenti detrattori fascisti che tentarono in ogni modo di ostacolarlo – bensì un servitore della cosa pubblica , nell’accezione più nobile del termine. Ma è proprio in questo amore per lo Stato e per la verità che si annidano le autentiche ragioni della sua morte.

Verità, morte, istituzioni, mafia, libertà. Sono i temi che solo poche ore dopo il reportage di Rai Tre corrono sulle labbra di un altro magistrato in prima linea come Nino di Matteo profuse sempre sulla stessa rete , e che non possono essere archiviate con superficialità, al di là di quello che si pensa della sentenza sulla Trattativa . Con eleganza e pacatezza e privo di inutile risentimento, anche Di Matteo testimonia il sincero smarrimento per quanto violenta, opprimente e destabilizzante possa essere l’assenza o il silenzio delle istituzioni (non tutte per fortuna, come si è visto) nei riguardi degli amministratori della giustizia il cui unico obiettivo è combattere la mafia.

Nell’ascoltare le considerazioni di Di Matteo, sembra che la morte di Occorsio sia però servita a poco. “Il magistrato si trova ad essere crocevia di tensioni violentissime – interpreta indirettamente il giudice di Cassazione Piercamillo Davigo nel corso del programma – e, tra le tante amarezze c’è quella di essere accusato di essere al servizio di una fazione quando non si è disposti a servire la fazione opposta”. Sta proprio qui il punto, ed è drammaticamente attuale. Lo spiega bene uno dei nipoti di Occorsio, quando dice: “l’Italia è piena di persone che portano avanti gli ideali di mio nonno e la validità di questi ideali non è nobilitata dal fatto che queste persone muoiano“.

Già. Sono decine, centinaia, gli eredi di Vittorio Occorsio oggi. Che si chiamino Federico Cafiero de Raho, Ilda Boccassini, Nicola Gratteri, Lia Sava, Nino Di Matteo, Stefano Musolino, Giuseppe Lombardo o Giuseppe Creazzo (e potremmo andare avanti con i nomi di sconosciuti poliziotti, carabinieri, giornalisti e liberi cittadini impegnati al fronte). Ognuno di loro porta avanti la propria battaglia, l’auspicio è che non si ripetano gli errori del passato. P.S. Piccola annotazione al pur bravo regista Gianfranco Pannone: potete accompagnare i volti degli interventi video con relativi sottopancia?

In alcuni casi mi sembra che non siano proprio andati in onda.

Spigolature del week end
Niente da fare per Il Sabato italiano di Eleonora Daniele contro Silvia Toffanin. Il suo programma in onda sabato su Rai Uno (diretta da Angelo Teodoli) si ferma all’11% di share mentre Verissimo veleggia verso il 22% su Canale 5, rete diretta da Giancarlo Scheri. Si conferma una portaerei del fine settimana Rai il contenitore Uno mattina in Famiglia curato da due colonne portanti della Rai come Michele Guardì e Antonio Lubrano e condotto da Tiberio Timperi e Ingrid Muccitelli: il fortunato format di Rai Uno raggiunge il 22% di share con quasi 1.400.000 spettatori.

Nella giornata di ieri, grande attesa per il big match della 34a giornata di Seria A, Juventus-Napoli (0-1), che ha ottenuto su Sky un’audience di circa 2,5 milioni di spettatori (share 10%). Su Premium Sport erano sintonizzati oltre 1 milioni di sportivi (share 4%). Con i 3 punti ottenuti proprio al 90° il Napoli si è portato ad un solo punto dalla Juventus, che guida la classifica quando mancano 4 giornate al termine del campionato di Serie A.

Quanto ai talk show sportivi, ottimi risultati per i due programmi storici della domenica targati Rai: La domenica sportiva, in onda su Rai Due (rete diretta da Andrea Fabiano) e condotto da Giorgia Cardinaletti, Riccardo Cucchi e Marco Tardelli, ha fatto segnare 1.530.000 (11,29% di share) mentre 90° Minuto, sempre sul secondo canale della tv di Stato e ‘patrocinato’ da Paola Ferrari, Alberto Rimedio e Mario Sconcerti, ha conquistato 1.316.000 spettatori, col 10,03%. Rimaniamo su Rai Due per Quelli che il Calcio, presentato da Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, che ha ottenuto 1.166.000, 8,42% di share.

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