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Prima serata
Ascolti tv, Sigfrido Ranucci spinge in alto Report. L'intervista

Sigfrido Ranucci, giornalista cresciuto nella Rai di Roberto Morrione, prende il suo ruolo con  ironia, definendosi “conducente” e non conduttore di Report, che guida da marzo 2017. Una conduzione apprezzata proprio perché ironica, asciutta e dai toni calmi, quasi un ossimoro rispetto ai contenuti forti della trasmissione. Sostituire Milena Gabanelli non sarebbe stato facile per nessuno, ma Sigfrido Ranucci ha dimostrato di essere un più che degno erede, e i numeri sono dalla sua parte.

Un anno partito molto bene, gli ascolti sono in netta crescita e non era scontato… Quale puntata le ha dato più soddisfazione?

«Indubbiamente è stata una stagione esaltante dal punto di vista dei numeri, della qualità delle inchieste e della crescita della squadra. Nella prima serata del lunedì viaggiamo con una media vicina ai due milioni di spettatori. C’è una concorrenza spietata, navighiamo tra le fiction di qualità su Rai Uno che totalizzano il 25% di share e il Grande Fratello (oltre il 20%). È come se andassimo in onda ogni sera contro il Festival di Sanremo. Riusciamo comunque a classificarci come terzo programma del prime time. E questo accade anche quando parliamo di argomenti poco digeribili, come le società di revisione. È stato un successo anche la replica del sabato, realizza poco meno di un altro milione di spettatori. Abbiamo fatto analizzare i dati ed è un pubblico diverso da quello del lunedì, è il frutto di una brillante intuizione del nostro direttore Coletta».

Avete consolidato il vostro pubblico e conquistato nuovi ascoltatori. Come ci siete riusciti?

«In questi anni abbiamo lavorato molto sui social, dove c’è un pubblico più giovane, età media 35-45 anni. E credo che il segreto sia anche nella narrazione. Abbiamo sperimentato un linguaggio più vicino ai giovani e anche a chi è meno strutturato. I nuovi dati sul tipo di pubblico lo confermano. Ma questo senza perdere qualità, lo zoccolo duro di Report non lo perdonerebbe. È una piccola ipoteca per il futuro della trasmissione e per la Rai. Speriamo di non disperderlo».

Qualcuno però sostiene che siete diventati più pop…

«Bisogna intendersi su cosa significhi pop. Inchieste sulla pizza, sul cornetto, sulla moda le abbiamo fatte anche ai tempi di Milena. L’importante è mantenere lo sguardo di Report. E i fatti lo dimostrano. Alternare inchieste più complesse ad altre più digeribili è un atto di indulgenza nei confronti dei telespettatori. Non puoi torturarli tutta la serata. È anche una scelta necessaria per il fatto che duriamo 40 minuti in più rispetto alle edizioni passate.  È necessario che durante il programma ci sia un cambio di passo. Affrontiamo anche 4 argomenti diversi a puntata. È certo più impegnativo della puntata monografica, ma i dati ci premiano».

La puntata sulla Lega è stata tosta… Tutti si domandano se dopo avrete un futuro, visto che la politica controlla la Rai.

«Perché non dovremmo averlo? In Rai, e in questa rete, siamo stati e ci siamo sempre sentiti liberi.  La forza di Report è di aver mantenuto negli anni la sua identità. Abbiamo anche fatto la scelta di raccontare la politica quando sei lontano dalle elezioni, quando invece l’informazione appare drogata. Il problema semmai poi non è perché tratti un argomento, ma se è vero quello che dici. E fino a oggi la magistratura l’ha confermato. In passato abbiamo fatto inchieste su Di Pietro, sul M5s, sul Pd romano, sulle Banche, sull’ Unità, sull’amministrazione Raggi, sulle Politiche economiche di Tremonti, sui governi Berlusconi. Ricordo anche una puntata sull’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro, che scatenò critiche e costrinse la Rai a fare una puntata riparatoria. Poi le vicende giudiziarie hanno confermato la bontà del lavoro di Report. Di tanto in tanto hanno provato ad appiccicarci un’etichetta, ma la forza della trasmissione è stata sempre quella di avere come unico editore di riferimento il pubblico che paga il canone».

Gli ascolti sono notevoli, riuscite a battere i talk show. Che insegnamento trarre dal successo di Report?

«È lo stesso segreto che le ha consentito di vivere oltre venti anni. Il successo di Report è quello di aver mantenuto il proprio DNA, di essere il romanzo dei fatti».

La tv gridata è in calo?

«Credo che l’informazione gridata sia populista. E vedo che il populismo è in calo anche tra chi ne ha fatto una bandiera politica. I telespettatori sono molto più intelligenti e preparati di quello che crediamo, annusano subito se gli stati servendo fatti».

Ripercorrendo le puntata andate in onda, quale vi ha creato più grattacapi?

«Quella sulla sanità e i dispositivi medici difettosi che sono stati impiantati sui pazienti. È stata realizzata con la collaborazione di ICIJ, il consorzio internazionale del giornalismo investigativo, ci hanno lavorato 250 giornalisti di tutto il mondo. Sono arrivate decine di diffide prima di andare in onda, una ogni intervistato. Gli interessi in ballo erano mostruosi, parliamo di un giro d’affari di 40 miliardi di euro, e decidere quando e come andare in onda con il rischio di danneggiare il servizio pubblico che rappresenti non è scelta semplice».

Come vede il futuro della Rai?

«La Rai è centrale per un’informazione di servizio. Lo dico dal mio punto di vista: certe inchieste possono essere realizzate solo avendo alle spalle il servizio pubblico. Quando abbiamo trattato  argomenti che riguardavano la salute e toccavano interessi di grandi aziende, queste hanno reagito togliendo la pubblicità. Puoi realizzarle solo se sei indipendente e sei finanziato da un canone altrimenti sei facilmente ricattabile. Manca ancora un sito unico per l’informazione di quella che è l’azienda culturale più importante del Paese. È fondamentale aver un unico biglietto da visita soprattutto quando ti presenti all’estero. Tutti i grandi network mondiali ce l’hanno».

Milena la sente? Cosa dice?

«Durante la messa in onda di Report e il suo impegno al Corriere e a La7  è un po’ complicato far coincidere l’attimo giusto per entrambi. Ma quando è possibile sì. Per me è stata ed è un punto di riferimento. Dal punto di vista personale le sarò grato per sempre per aver creduto in questo gruppo, e creduto che potesse continuare a far vivere  la sua creatura. Ma le sono soprattutto grato come dipendente  Rai, per aver ideato e condotto per 20 anni un prodotto unico nel panorama europeo. Un presidio di informazione rigorosa libera e indipendente, una trasmissione di puro servizio pubblico. E così continuerà ad essere finché ci sarà la sua squadra».  

Le ragioni di un successo

I dati pubblicati sono a cura di Anthony Cardamone, responsabile ricerche del colosso pubblicitario Omnicom Media Group

 

In questa stagione televisiva “Report” è partito su Rai 3 il 22 ottobre, confermato nella collocazione della fascia prime time del lunedì. Per le prime 7 puntata andate in onda fino al 3 dicembre la trasmissione ha fatto registrare una media di 1.828.300 spettatori, segnando mediamente il 7,3% di share. Con 2.137.600 spettatori e l’8,8% di share, l’ultima puntata è risultata la più vista di questa edizione, seguita in questa classifica dalla puntata di lancio (22 ottobre) che aveva totalizzato 1.920.300 spettatori (share 7,6%). Rispetto alla scorsa stagione, considerando le prime 7 puntate (23 ottobre-4 dicembre 2017), il programma risulta in crescita del 10% circa in termini di spettatori, e ha guadagnato in media oltre 1,1 punti percentuali di share.

Il profilo dello spettatore di Report è leggermente maschile (53% dell’audience); circa l’11% dell’audience ha meno di 35 anni; gli over 65 rappresentano il 34% del totale. Il programma risulta maggiormente affine ai target con scolarità medio-alta (il 58% del totale è almeno diplomato; il 16% del totale è almeno laureato) e agli appartenenti alle classi socio-economiche medio-alte e alte. A livello geografico Report risulta meno visto nelle regioni del Sud: in particolare in Sicilia e Campania il programma in media raggiunge il 5% di share; nelle regioni del Nord Est, che risultano le più affini, in media supera l’8%.

Confronto edizione 2018 vs 2017

Rispetto allo scorso anno il target maschile è quello che risulta maggiormente in crescita: +15% rispetto al 2017 (+10% è la variazione di ascolto per gli individui). Di contro, le donne – pur in crescita rispetto allo scorso anno – fanno registrare un incremento inferiore, pari al +4%. In questa edizione si sta registrando una crescita superiore alla media nelle fasce più giovani della popolazione: gli spettatori tra i 20 e i 44 anni sono cresciuti infatti del 29% rispetto al 2017. Mentre gli individui con titolo di studio medio-alto – già più affini al programma – risultano in crescita, ma solo del 5%, si registra un incremento del 16% tra i target meno scolarizzati. Questa edizione del programma sta ottenendo migliori risultati rispetto al 2017 nelle regioni del Sud (seppur tuttora territorio meno affine, come riportato poco sopra), dove in media si registra una crescita dell’audience del 19%, con Campania e Sicilia a guidare la classifica delle regioni in cui l’incremento è maggiore della media: rispettivamente +36% e +27% rispetto al 2017. Risultati positivi anche nell’aera del Nord Ovest, in particolare in Liguria (+30% vs 2017) e Lombardia (+21%).

 

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