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Coronavirus
"Covid, da me arrivò il Mattia di Codogno". Così si aprì il vaso di Pandora

Sono le ore 13.40 del 20 febbraio 2020. Al laboratorio di microbiologia clinica dell'ospedale Luigi Sacco di Milano, centro di riferimento per l'attività diagnostica, è arrivato il campione di un paziente in fin di vita. Alle 17 viene rilevata la positività del campione al nuovo coronavirus. Alle 20.30 la conferma. Si tratta del campione di quello che da lì a breve sarebbe diventato il famoso "Mattia di Codogno". Esattamente un anno fa l’Italia scopre che il Covid-19 non è solo un affare cinese ma un maligno spettro che si aggira sul nostro Paese.  

Affaritaliani.it ha intervistato la protagonista di quella scoperta: Valeria Micheli. Biologa e virologa, la Micheli ha effettuato la prima diagnosi autoctona su un soggetto italiano affetto da Covid-19. Il suo gruppo di lavoro è coordinato dalla dottoressa Maria Rita Gismondo che, con il suo laboratorio, ha ottenuto risultati molto importanti nella battaglia contro il virus. Di loro, il sito scientifico Authorea ha scritto: “Ecco chi ha aperto il vaso di Pandora in Europa”.

Micheli

Valeria Micheli è una dirigente biologa presso l’ospedale di Milano "Luigi Sacco". Esperta in ambito virologico per le infezioni Hiv, epatiti e studio della farmaco-resistenza ai farmaci antivirali.

Lei è la dottoressa che ha scoperto il Covid-19 in Italia...

“Ho fatto la diagnosi della prima infezione da SARS-CoV-2 autoctona in Italia, quindi il primo paziente che ha contratto l’infezione senza andare all’estero. Non era un rientro dalla Cina, come indicavano in quel momento”.

L’Oms?

“Esatto”.

Il paziente era il famoso Mattia di Codogno?

“Sì, abbiamo ricevuto il suo campione dall’ospedale di Codogno. È stato inviato a noi in quanto centro di riferimento per fare diagnosi”.

Dopo che avete fatto questa scoperta che cosa ha provato?

“È stata una grandissima sorpresa. Eravamo stati allertati sul fatto che fosse un caso grave e in condizioni critiche. Inizialmente non saltava fuori nulla e sono entrata in ansia ma poi quando ho visto quelle curve che davano in modo inequivocabile un risultato positivo (di nuovo coronavirus ndr), è stata una grande sorpresa. Fino a quel momento avevamo fatto test solo su pazienti provenienti dalla Cina e risultavano tutti negativi. Non cercavamo nel posto giusto”.

E poi?

“Il risultato andava confermato con un test alternativo. Ho rifatto tutta la procedura con altri due test che avevamo in laboratorio per avere la conferma della positività”.

In quel momento, ha capito che eravamo di fronte a qualcosa di più esteso?

“In quel momento non si sapeva ancora che gli asintomatici trasmettessero, ma quando abbiamo riscontrato la prima positività ho pensato che il fenomeno potesse essere più ampio. Nessuno, in quel momento, aveva previsto la portata devastante che si è verificata dopo”.

Che cosa è cambiato dopo un anno?

“Abbiamo imparato tantissimo del virus e della malattia. L’attenzione ora è sulle potenziali varianti. Lo sapevamo, i virus mutano. Abbiamo le tecnologie per studiarle e tracciarle e lo stiamo facendo”.

Quanto dobbiamo preoccuparci di queste nuove varianti?

“Si sta valutando la portata e l’impatto. Già il virus che aveva preso piede in Europa era diverso da quello di Wuhan”.

La trasmissibilità è aumentata con le varianti?

“Potrebbe essere maggiore, ma le modalità di contenimento non cambiano”.

Il professor Galli, anche lui medico del Sacco, ha affermato che ci sono molti casi di varianti presenti nel vostro ospedale…

“Ha parlato la direzione su questo argomento. Non voglio entrare in questa polemica. Nel laboratorio stiamo tracciando queste varianti”.

Quindi la vostra struttura ospedaliera non è piena di varianti?

“Questa è una polemica in cui non voglio entrare”.

Però può dirci se nel suo ospedale c’è un numero elevato di casi di varianti?

“Le posso dire ciò che ha già letto sui giornali”.

Quindi si attiene alla nota della direzione del Sacco che smentisce il professor Galli?

“Si, confermo quello che è stato detto dalla direzione”.

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