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Costume
Fase 3, la ricostruzione parte dalla mediazione filosofico-umanistica

Di Maria Martello*

Ognuno è responsabile nei confronti degli altri relativamente sia alle azioni sia alle reazioni emotive che provoca.

Per ricominciare tutto daccapo, come è richiesto dal nostro tempo c’è, a nostro parere, una via maestra che ci fa superare la logica del potere sull’altro, del possesso e del saccheggio egoistico delle risorse. Che non si serve della prevaricazione, della manipolazione, della mistificazione, dell'esclusione, della non condivisione, della violenza. Che può far fare il salto di cui l’attuale emergenza ci fa vedere tutta l'urgenza.

Questa è la Mediazione umanistico-filosofica per la risoluzione pacifica dei conflitti. Questa metodologia, appellandosi all’intelligenza del cuore, rende possibile la sfida di una vita di relazione con l’altro in cui l’io e il tu attuano un felice scambio basato sulla diversità. E’ quindi risposta ad un bisogno a cui nessuno sfugge: dare un senso e una qualità alle nostre vicende personali e professionali.

 

Si tratta di una linea culturale nuova ed ardua ma quando mai utile oggi. Infatti la sfida della ripartenza, ed anche della riprogettazione o forse è meglio dire della rinascita che l’Italia deve affrontare è davvero epocale e non possiamo perderla.

Tutti insieme siamo coinvolti quindi non solo nel rimettere in piedi l’economia, ma anche nel qualificare l’idea stessa di democrazia e di “relazioni” all’interno di una società.

Che ciò passi attraverso grandi e piccoli conflitti, è evidente da quanto sentiamo ogni giorno dalla classe dirigente del Paese, dalle Istituzioni: la voce dell’economia non si adatta allo spazio della scienza, la concezione di bene pubblico, quale scuola e sanità, diventa spesso terreno di scontro tra fazioni più che tra visioni diverse della politica e della società in genere. E su tutti la paura, quella che vediamo nel silenzio delle strade delle nostre città, dei nostri paesi. La paura, quello spazio in cui sicurezza e libertà si scontrano rischiando di intaccare le regole del vivere civile, dell’essere comunità.

Mai come in questo caso momento conflitti non affrontati e non risolti possono rallentare o vanificare i traguardi. Questo costa in termini di tempo e di risorse economiche. In ogni modo la competizione, ben diversa dall’emulazione, nel mondo del lavoro, è tale che solo i migliori ce la fanno. I migliori perché, più di altri, competenti nella gestione costruttiva delle relazioni e della risoluzione pacifica dei conflitti.

Visto che non c’è scampo e i conflitti sono una normalità della vita, che fare?

Scegliere di soccombere e farci del male? Pena il trascinarci in una miseranda e affannosa sopravvivenza interrotta da sprazzi di ben-essere, o meglio di illusioni euforiche.

O decidere di lottare incontrando ostacoli senza fine e perdere la pace? Sprecando energie che meglio dovremmo investire per la nostra completa realizzazione e per il successo a cui tendiamo.

Anche i propositi migliori non bastano. Non sono sufficienti al raggiungimento di un accordo, spesso intimamente insoddisfacente perché pervaso dal gusto amaro del compromesso, della rinuncia.

O trovare la terza via? Questa è la mia proposta.

 

Vediamo come.

 

Tutti desideriamo, indipendentemente dallo status sociale, dalla cultura, dall’età ecc, essere rispettati, riconosciuti nel nostro valore, essere capiti e apprezzati.

Eppure….

Desideriamo essere simpatici e risultiamo insopportabili.

Vogliamo essere amati da un altro e collezioniamo abbandoni.

Vogliamo essere apprezzati dai nostri collaboratori e superiori e invece veniamo scartati, marginalizzati, diventiamo vittime di mobbing.

Vogliamo stare in pace in casa nostra e le incomprensioni con l'amministratore diventano, da conflitto latente, contenzioso aperto.

Ci sarà un motivo!

Forse anche più di uno. Partiamo dal domandarci e dal ricercare quello che ci caratterizza.

Quello che è certo è che l’incontro con l’altro è sempre un evento complesso, difficilmente riconducibile a semplicità. Un mistero. Padroneggiare con equilibrio questa complessità non è dato a priori, per predestinazione, per carattere, per nascita. Si apprende.

Di solito non sospettiamo neanche che il campo delle relazioni interpersonali sia minato... e noi andiamo alla “guerra” senza armi. Le armi sono le competenze. Queste si acquisiscono così come si acquisiscono le abilità professionali e sono necessarie quando malaguratamente si entra in conflitto.

Proviamo ad indicare qualche consiglio pratico invitando a pensare in modo nuovo al conflitto a partire da convinzioni razionali.

Ricordiamoci sempre che è un diritto esprimere il proprio punto di vista, anzi che è bene farlo per la propria dignità e per il contesto in cui vive. Ma va tenuto presente che ognuno, nessuno escluso, ha un punto di vista sempre unico, irripetibile, diverso da quello dell’altro. E non può considerarsi un vantaggio neanche quando apparentemente sembra simile…! Meglio anzi quando la diversità è evidente, se ne prende atto e ci si confronta.

Ma dobbiamo essere certi che non è ineluttabile che il confronto debba diventare scontro ovvero un’ostilità che fa star male e ostacola.

 

Cosa scatta quando diventa una lotta? Forse la paura che un pensiero diverso metta in crisi il nostro? Che ci faccia correre il rischio di scoprire che non abbiamo in mano le verità migliori e assolute? Che abbiamo aperto il campo alla modalità competitiva e ogni occasione è buona per misurarci e contrapporci? Queste alcune ipotesi: ognuno può aggiungerne altre.

Pensare alla ricostruzione richiede che si sappia come. Ripartire,a mio parere, significa quindi far leva su expertise, creatività, competenza, onestà e serietà. Ma anche sulla capacità di saper gestire il confronto tra i punti di vista, le posizioni ed anche i caratteri personali. Su una generalizzata e condivisa mentalità mediativa, che non significa operare col buon senso, già onorevole, ma ben di più. E’una capacità che si basa sulle competenze nella gestione della diversità e della risoluzione pacifica dei conflitti, A.D.R. (Altervative  Dispute Resolution). Una risoluzione in cui, mi piace sempre ricordarlo: non ci sono né vincitori né vinti. Ma due vincitori. Altrimenti, come l’indovino Tiresia dice nell’Edipo re di Sofocle: “Vincere è stato proprio quello che ti ha fatto perdere”.

Il modello filosofico-umanistico di Mediazione per la risoluzione pacifica dei conflitti si compone di un pensiero, di una tecnica ma si fonda su di un’anima: senza questa le prime due sono sterili esercitazioni che non sortiscono risultati. Il bisogno di acquisirla è generalizzato. Nessuno può sentirsi escluso dalla possibilità di completare il proprio curriculum formativo e di sanare la carenza di competenze in questo ambito del vivere, determinante anche per la qualità e il successo personale e professionale.

Varrebbe la pena accettare di lasciarsi interpellare da questa nobile linea di pensiero.

* Formatrice alla Mediazione per la risoluzione dei conflitti secondo il modello umanistico-filosofico da lei ideato, ha insegnato Psicologia dei rapporti interpersonali presso l’Università Cà Foscari, già Giudice on. Presso il Tribunale per i minorenni e la Corte d’Appello di Milano, autrice tra gli altri del volume “La formazione del mediatore” ed. Utet e “Mediatore di successo” ed. Giuffrè, Sanare i conflitti, ed. Guerini, Educare conSENSO senza disSENSO, ed.FrancoAngeli. maria.martello@tiscali.it

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