Renzi lancia Tempesta contro Buzzi 'manolesta' - Affaritaliani.it

Cronache

Renzi lancia Tempesta contro Buzzi 'manolesta'


Di Pietro Mancini


Qualcuno, a proposito della profonda crisi del Pd della capitale, ha parlato di un partito diviso tra le correnti e usato dai dirigenti e dagli amministratori come un taxi, in una città, accostata alla Chicago degli anni 30, con i clan, che si spartivano il territorio.
Renzi, ieri molto freddo con Marino, pensa a uscire dalla tempesta, restituendo i soldi, versati da Buzzi ai dirigenti romani del Pd, per finanziare alcune iniziative.

Un segnale molto forte di discontinuità, per uscire dalla tempesta, cui seguirà il lancio di...Tempesta : Giulia, 25 anni, 3810 preferenze alle ultime elezioni, un volto giovane e pulito, una sorta di Boschi capitolina, da promuovere capogruppo del Pd in Campidoglio, per ricomporre i cocci di un partito, travolto dal secondo filone di Mafia capitale.

Il premier, intervistato dal Corriere della Sera, ha bocciato l'ipotesi, disastrosa, dello scioglimento del Comune per mafia.
Se l'inchiestona di Pignatone, dovesse decimare il Consiglio comunale e provocare ripercussioni anche sulla giunta di Marino, che Grillo ha ribattezzato "Ignaro", il premier potrebbe chiedere al Sindaco di dimettersi, ad agosto, per far slittare le elezioni nel 2016, unendole a quelle di altre grandi città, come Milano, Torino, Genova e Napoli. "Non abbiamo paura-ha spiegato il premier- del grillino
Di Battista e neppure dei delfini di Alemanno. Stop del governo ai finanziamenti, con leggerezza, a Roma-capitale".

Ma, per non lasciare nel degrado la capitale, sciatta, sporca, prigioniera dell'incuria-tanto somigliante a quella descritta da Manlio Cancogni, su "L'Espresso", nel 1955, sotto il titolo "Capitale corrotta, Nazione infetta"- perché il Pd non chiama al capezzale del partito non i soliti prefetti e magistrati, bensì i due figli migliori della "generazione Berlinguer", Massimo D'Alema e Walter Veltroni, all'insegna dello slogan mitterrandiano "politique d'abord, l'intendence suivra !"?
Il primo premier post-comunista ha le idee chiare sulle ragioni della crisi, che non possono essere scaricate sulle "mele marce" romane. D'Alema è molto severo sulla mancanza assoluta, nel PD, non solo a Roma, del senso di appartenenza a una comunità : se non c'è, non si può costruire un partito politico. C'è il rischio, secondo Massimo, che il leader diventi come l'imperatore, chiuso nella sua tenda, con i suoi armati a difenderlo, mentre intorno a lui ci sono i "feudatari", ciascuno con i suoi colori, le sue truppe, a tutela dei propri interessi.
La analisi dalemiana, severa ma realistica, ha molti punti in comune con la diagnosi di Fabrizio Barca, figlio di Luciano, che fu tra i più stretti collaboratori di Berlinguer. Egli attribuisce ai "capibastone", che hanno provocato "degenerazioni miserabili", dopo le sindacature di Rutelli e Veltroni, la responsabilità di aver abdicato alla loro funzione, prioritaria, di selezione dei dirigenti e di controllo, lasciando le immense e degradate periferie di Roma nelle mani di "ras cattivi e pericolosi".
E D'Alema non rinuncia a dar la stoccata al suo eterno rivale, Veltroni, che, sbagliando, disegnò il Pd come il partito del leader, con le primarie come sua investitura. E, intorno al capo, Walter intendeva creare un gruppo dirigente, composto dai suoi collaboratori.
Ma non era difficile prevedere che questo schema avrebbe prodotto la proliferazione di tanti centri di comando, con dirigenti, che tendevano, nelle realtà, da loro controllate, ad andare per conto proprio. E il partito del leader ha finito per favorire la nascita di tanti micro-partiti.
È capitato anche al giovane e ambizioso premier toscano. Nella fase dei grandi successi elettorali, Matteo ha puntato a trasformare il Pd in un partito personale. Ma, adesso che stanno affiorando i problemi, il trend elettorale favorevole si è fermato e i media sono più tiepidi, il segretario deve fronteggiare le ostilità diffuse.
E, dunque, Veltroni-che da Sindaco non ha fatto male, anche se non è stato fortunato nella scelta dei collaboratori, in primis il Vice-Capo di Gabinetto, Luca Odevaine, arrestato-potrebbe dare utili consegni a Renzi.

Walter, nel 2008, nominò deputata una bella ragazza, Marianna Madia, segnalata dal figlio di Re Giorgio Napolitano. La giovane parlamentare si ricandidò e vinse le primarie, nel 2013, ma sostenne di essere stata contrastata da "vere e proprie associazioni a delinquere".
Secondo la Madia e i giovani renziani, gravi colpe nella degenerazione del Pd vanno attribuite agli ex notabili ds (Bettini, Cosentino, Zingaretti, Marroni), che avrebbero sabotato il rinnovamento. E, negli ultimi 2 anni, il partito ha dato l'immagine di un'organizzazione rissosa, distratta dalle beghe interne.
La discesa della sinistra romana, in realtà, cominciò 7 anni fa, quando i democratici, dopo la batosta inflitta da Alemanno a Rutelli, preferirono gli inciuci, il consociativismo e la spartizione delle lucrose poltrone di sottogoverno all'opposizione dura. E il genero di Pino Rauti lasciò all'allora capogruppo del Pd in Campidoglio, Marroni, solo le briciole. Le porzioni più consistenti della torta il Sindaco le assegnò ai suoi famelici camerati e all'ex "compagno" Buzzi.
Agli eterni duellanti, Veltroni e D'Alema, gli elettori e gli iscritti, oggi, chiedono un atto di generosità nei confronti di un partito, che a loro ha dato potere e incarichi prestigiosi. Accantonino i dissensi, le antipatie, gli odi, che divisero Romolo e Remo, nell'epoca della fondazione di Roma. Parlino, in nome del superiore interesse della Ditta, al rottamatore. E, innanzitutto, si sforzino di far capire a Renzi, da cui non sono stati trattati bene, i problemi, le mentalità, i caratteri dei romani.
E sottolineino al giovane compagno quanto scrisse Giovanni Papini, che conosceva bene la città : "Roma è sempre stata, intellettualmente, una mantenuta. Questa capitale, che è tutto passato, nelle sue rovine, nelle sue piazze, nelle sue chiese ; questa città, brigantesca e saccheggiatrice, che attira come una puttana, e attacca ai suoi amanti la sifilide dell'archeologia cronica, è il simbolo, sfacciato e pericoloso, di tutto quello che, in Italia, ostacola il sorgere di una mentalità nuova, originale".
Ancora più chiari questi versi di Giuseppe Gioacchino Belli :
"Sta verità tienitela a mente/che quaggiù, Checca mia, se pò fà tutto/ basta de nun dà scannolo a la gente !"
E, dedicato ai corrotti di Mafia-capitale : "Degno di gloria è quel che ruba un Regno/Chi ruba poco d'un capestro è degno !".