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Cronache
Vaticano, il caso del Cardinale Becciu conferma: Bergoglio non sa essere Papa

Non sono uno psicologo ex professo e, quindi, non riesco proprio compiutamente a spiegare, in modo scientifico, quale meccanismo, quale associazione di idee sia scattata nella mia mente, ma, non appena ho appreso dai diversi organi di informazione le prime notizie sullo scandalo del cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, immediatamente, il mio pensiero ha focalizzato la storia di un' “eroina” del XVII secolo, Claudia Particella. Protagonista di una vicenda il cui autore, con enorme sorpresa, è stato una persona molto particolare per tutto quello che, negli anni intercorrenti tra le cosiddette guerre mondiali, ha rappresentato per la politica, la società, il costume, la cultura dell'Italia e più latamente, del mondo: Benito Mussolini (1883 – 1945) e la sua avventura ideologica-politica che si è consumata in un arco evenemenziale di tempo di poco oltre vent'anni, che va dal mese di ottobre del 1922 alla primavera inoltrata del 1945, allorchè si consumò, a piazzale Loreto, in Milano, l'atto finale del fascismo e del suo carismatico capo.

È una storia, quella narrata dal futuro duce, romanzata, sì, ma che, comunque, presenta, come per quasi tutti gli avvenimenti di “invenzione”, un fondo di sostanziale veridicità la cui vivace vena che l'attraversa, come un fil-rouge sottile, sotterraneo ma vivo e vitale che davvero sconcerta, non semplicemente per le implicanze ad essa logicamente connesse, con le quali si deve pur sempre fare i conti, altresì, anche per la facies dell'attualità sulla quale la narrazione, intrinsecamente, fa affidamento in obbedienza alle leggi della più reale concretezza.

Il romanzo, come è scontato che sia, possiede un titolo: Claudia Particella, l'amante del cardinale che, in stretta ma limpida sintesi, avverte il lettore dell'argomento che dovrà affrontare nelle dense pagine del racconto. Pubblicato a Trento nel 1910, a puntate, sul giornale socialista del patriota Cesare Battisti, Il Popolo, ha avuto diverse ristampe oltre a quella degli anni '10 del XX secolo: 2009; 2018, tra le edizioni de Il Giornale. In verità, una composizione d'appendice, quella redatta dal giovane rivoluzionario romagnolo per vellicare i grossolani gusti del pubblico dei lettori e, nel medesimo tempo, porre la Chiesa di Roma sulla graticola onde secondare in tal modo la ventata di anticlericalismo che la faceva da padrona nella società italiana del tempo sulla quale pesava, come un macigno, gravando sui gangli più delicati della vita quotidiana nazionale, la “Questione Romana” che prendeva giustificazione dall'atteggiamento del papa che si riteneva, in maniera unilaterale, prigioniero in Vaticano del Regno d'Italia, fin dal 20 settembre del 1870, per il vulnus inferto all'ultimo lacerto dello Stato Pontificio, allorchè fu praticata la famigerata Breccia di Porta Pia, che consentì alle milizie italiane, guidate da Raffaele Cadorna (1815 – 1897), di conquistare Roma in vista di renderla, per la sua passata grandezza di Caput Mundi, capitale storica della neonata monarchia italiana (Torino, Palazzo Carignano, sede del Parlamento Subalpino, 17 marzo 1861).

Scritto dal giovane Mussolini durante il periodo di permanenza a Trento, nel 1909, in qualità di segretario della locale Camera del Lavoro, questo feuilleton dai tratti molto spesso anche pruriginosi, racconta gli eventi di un preciso periodo di vita di un principe vescovo dell'antico centro dei Reti -questa città era stata eretta, nel 1027, in Principato vescovile dall'imperatore d'Occidente, Corrado II il Salico (m. nel 1039), rimanendo in tale regime fino al 1802. Quello dei principi vescovi costituiva un secolare retaggio della durissima lotta per le investiture scatenatasi tra il Pontefice Gregorio VII (Ildebrando di Soana, 1020 – 1085, e l'imperatore di Franconia, Enrico IV, 1056 – 1106-. I protagonisti, Carlo Emanuele Madruzzo (1629 – 1658), e i suoi amori con una sensuale cortigiana, di nome Claudia Particella, come all'epoca ne esistevano tante -si vada col pensiero al romanzo popolare Il ponte dei sospiri, redatto da Michel Zevaco, nel 1910, e ripubblicato dalla casa editrice Bietti di Milano, nel 1923, che, tra i propri comprimari, annovera la cortigiana Imperia, e si avrà la piena contezza di un fenomeno sociale e, in alcuni casi specifici, anche letterario e culturale, caratteristico, alimentatosi presso le strepitose magioni delle classi egemoni tra il XVI e il XVIII secolo, in particolare, italiane-.

Con ciò, non intendo assolutamente affermare che tra la vicenda del cardinale Angelo Becciu e quella del principe vescovo ci siano delle attinenze, anche se semplicemente remote. Assolutamente no! Però, i francesi, nella loro raffinata arguzia, in situazioni simili, forniscono un perentorio consiglio: cherchez la femme! E la donna, nel caso in esame, esiste in carne ed ossa e risponde al nome di Cecilia Marogna. -il cognome mi sembra decisamente cacofonico!- La quale, interrogata in proposito da qualche maliziosetto giornalista, ha smentito in modo reciso ogni rapporto men che istituzionale con l'ex cardinale-prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Qui, in realtà, si inserisce un'altra questione, inerente le scelte che opera Bergoglio ed i collaboratori dei quali egli si circonda: Angelo Becciu è una sua creatura, ecclesiasticamente parlando, è ovvio! Da lui protetto e promosso al cardinalato ponendolo a capo di una Congregazione delicatissima. Quella che, in pochi e pedestri termini, “crea” i Santi, ossia coloro che hanno vissuto il Cristianesimo cattolico, nella propria esistenza terrena, eroicamente, in pienezza partecipata al messaggio evangelico del Cristo che la Chiesa, nella sua sapienza magisteriale, propone ai propri fedeli adepti, come specchio, come modello da seguire e da imitare, pur nella debolezza umana di ciascuno e nella fragilità ed evanenescenza dei propositi e la caducità dell'umana natura. La vicenda di Becciu comporta, de plano, a questo punto, una semplice, quasi banale considerazione. Quale? Quella che Bergoglio risulta incapace di scegliere con ponderatezza e lungimiranza i propri collaboratori che, in seguito, platealmente, si rivelano degli incapaci, fomiti di scandali. Che si comportano in maniera vergognosa, senza rendersi minimamente conto dei danni morali e di credibilità che arrecano alla “navicella di Pietro” costretta a solcare agitatissimi marosi con il rischio, molto concreto, che possa inabissarsi da un momento all'altro, con somma esultanza di tutti i suoi nemici che non vedono il momento nel quale la débâcle possa verificarsi. Ma, portae inferi non praevalebunt, né ora né mai. È questa la mia ferma convinzione!

Bergoglio se ne faccia una ragione: il sommo pontificato non fa per lui! Se ne torni quatto quatto a casa, lì, in Argentina, “alla fine del mondo”, nel luogo scelto dai suoi antenati emigranti per tentare la sorte di un avvenire diverso da quello di morti di fame che li attendeva nel vecchio Piemonte valdese e settario, eretico e povero.

È vero che sia salutare che gli scandali avvengano ma qui ormai esiste un parossismo continuo. Tra preti pedofili, bari, omosessuali, fedifraghi, faccendieri, i fedeli risultano totalmente disorientati, tanto che, entrando in una chiesa per pregare ed invocare la misericordia del Signore e la protezione intercessiva della Beata Vergine Maria, avvocata del popolo cristiano, non possono fare a meno di associare il luogo santo alle troppe pecore che “vaneggiano” avendo, scientemente, alcuni scelto il cammino pastorale non per autentica, libera vocazione, ma come un percorso abbreviato verso l'autoaffermazione temporale e mondana a totale discapito di una Istituzione che si è quasi completamente laicizzata dal momento in cui i ministri del culto cattolico hanno iniziato ad essere reclutati tra i componenti del sottoproletariato urbano e contadino. Recanti nel proprio DNA le più becere rivendicazioni sociali in un arrivismo distruttivo che contempla la deleteria affermazione di una classe sull'altra in una riaffermativa, infinita corsa che tutto distrugge, nulla viene salvato da una furia distruttrice ed iconoclastica.

Il 2 di novembre del 1931, il Sommo Pontefice Pio XI, nel secolo Achille Ratti (1922 – 1939), essendo stati ancora una volta i gesuiti espulsi dalla Spagna -riammessi, però, nel 1939- dopo innumeri traversie di espulsioni e riammissioni nei vari stati della vecchia Europa, inviò alla Compagnia di Gesù una “Lettera” nella quale si spendeva a suo favore elogiando la disciplina che i componenti della Congregazione ignaziana rigorosamente osservavano e lo spirito di sacrificio che li caratterizzava. Non si era ancora affacciato al loro orizzonte il proprio confratello Bergoglio: Absit iniuria verbis, sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto, alla sinistra luce dei vari, dolenti ammennicoli che si declinano nel comparsame che angustia la Chiesa la quale ora propone, con notevole improntitudine dei nomi ruffiani: Angelo Becciu, Marcello Semeraro, Gustavo Oscar Zanchetta, Oscar Rodriguez Maradiaga, Conrad Krajewski, l'elettricista; Juan Antonio Guerrero Alves, Reinhard Marx -potenza di un cognome!- un elefantiaco, rude camallo, tipico esponente della Chiesa teutonica di sempre.

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