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Cronache
Coronavirus, "App Immuni obbligatoria nelle zone a rischio"
(fonte IPA)

"Mi faccia fare una premessa. Inizialmente ero molto scettico sulla possibilità di avere una  App che tracciasse i comportamenti rilevanti per la tutela della salute collettiva e che fosse rispettosa della privacy", afferma ad Affaritaliani.it Alberto Gambino, Prorettore Vicario dell’Università Europea di Roma e Presidente dell’Italian Academy of the Internet Code, parlando della app che verrà utilizzata nella Fase 2 per tenere sotto controllo il contagio da coronavirus.

"Uso il verbo all'imperfetto perché dopo avere visto i contenuti di Immuni, mi pare proprio che questa applicazione così com'è stata progettata sia sostanzialmente neutrale rispetto al tema del rispetto della privacy, ma che molto dipenda dall’utilizzo e dalle regole definite dal Governo. Per quanto riguarda il trattamento dei dati personali riguardanti la salute, che è il punto chiave, la competenza sarà comunque dell'autorità pubblica-sanitaria e qui occorre prevedere che una volta terminata l’emergenza se ne scongiuri in modo assoluto un utilizzo improprio. E' evidente che in questa fase di emergenza l'autorità sanitaria potrà sapere più cose rispetto alla nostra salute di quanto non avvenga in momenti ordinari".

"Gli stimati amici del centro Nexa del Politecnico di Torino hanno lanciato una lettera aperta al Governo in cui manifestano preoccupazione che in questa vicenda possano insinuarsi interessi che hanno priorità diverse da quella della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, con soluzioni in deroga alla normativa a protezione dei dati. Sono d’accordo ma con un caveat: anche la salute è un diritto fondamentale, e, secondo l’art. 32 della Costituzione, non solo individuale, ma anche un interesse collettivo. E’ dunque un problema di bilanciamento. Per questo non me la sento di sposare a priori le soluzioni cosiddette decentralizzate, con dati anonimi in modo che non sia consentito di risalire all’identità delle persone. Ma allora la tutela della salute collettiva retrocede davanti ad interessi singoli. Come faccio – io Stato - a mettere in piedi misure di prevenzione della popolazione se non posso sapere chi sono i contagiati?"

"Mi pare ci sia un’eccessiva sfiducia nelle autorità sanitarie italiane. Poi ho più volte ricordato che sin da oggi si parifichi il trattamento illegale di dati sanitari al reato di tratta di esseri umani e traffico di organi previsti dall’art. 601 del codice penale. Più di così!", dichiara Gambino.

"Anche l’altro tema della volontarietà nella scelta se dotarsi dell’App può essere un punto debole. Forse funzionerebbe in un Paese con una forte etica civile e con un elevato rispetto delle regole sociali e del prossimo. Mi piacerebbe che così fosse l’Italia. Occorre però essere realistici, e il rischio è quello di tornare a casa dopo esser stati sull'autobus e non avere avuto alcun alert della nostra App, ma di essere stati in contatto con decine di cittadini asintomatici senza saperlo solo perché essi non hanno scaricato la App per i motivi più vari, magari ideologici, magari per nascondere qualcosa. E allora anche l’applicazione Immuni diventa inutile o addirittura fuorviante, facendo intendere a chi la usa che sia uno schermo sanitario, mentre non lo è affatto".

"Si abbia allora almeno l’accortezza di valutare l’eccezionale situazione delle zone a rischio e immaginare meccanismi di obbligatorietà. Rendere l’App obbligatoria in alcune zone straziate dal virus, credo sia doveroso per il bene fondamentale della vita e la salute dei cittadini. In termini giuridici l’obbligo non significa che sia “coercibile”, nel senso che l’autorità pubblica ne imponga coattivamente l’utilizzo, ma significa che se per la mancata osservanza dell’utilizzo dell’app si è provocata la morte di altri concittadini, la responsabilità individuale ne uscirà aggravata".

"Per i prossimi mesi se vogliamo davvero tornare a lavorare dobbiamo usare questo strumento, insieme ovviamente ai tamponi, alle analisi e alle verifiche del caso. Per quanto riguarda una parte della popolazione anziana o chi non ha uno smartphone, si potrebbe fare un investimento per distribuire gratuitamente device simili agli strumenti salvavita al posto della App da scaricare sul cellulare. Ci sarebbe anche meno riluttanza nell’utilizzo perché sarebbe un elemento che non entra in relazione con il telefono cellulare, fattore questo che ci fa spesso sentire vulnerabili nella nostra privacy. Anzi, se proprio l’applicazione Immuni non avesse l’esito sperato, si doti tutta la cittadinanza di chiavette salvavita, funzionanti come l’App ma non veicolate dai telefoni cellulari. Chissà, l’impatto psicologico potrebbe essere minore".

"Quanto alla tecnologia bluetooth, certamente sarebbe stato più efficace utilizzare il Gps, che consente di risalire alle fonti territoriali di contagio; anche qui si può pensare di usarlo almeno nelle zone “a rischio”". Tutto questo fino a quando? "Fino a emergenza finita e se poi si scoprisse che alcuni dati non sono stati distrutti e qualcuno li utilizzasse anche una sola volta, ripeto, art. 601 codice penale, cioè venti anni di reclusione. Davanti ad un virus che ha bloccato il mondo ci vuole coraggio, non un pannicello caldo", conclude Gambino.

 

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