Immigrazione: un figlio in Italia? Non legittima gli irregolari a restare - Affaritaliani.it

Cronache

Immigrazione: un figlio in Italia? Non legittima gli irregolari a restare

Antonio Amorosi

Non si può usare un figlio per restare in Italia. Il diritto all'unità familiare non prevale sull'obbligo dello Stato dei controlli sull'immigrazione irregolare

Avere un figlio in Italia non legittima l’immigrato a restare nel nostro Paese. E’ quanto emerge da un caso affrontato a fine ottobre dalla Cassazione (con ordinanza n° 33362/2019).

 

Un cittadino straniero, ucraino, presente irregolarmente nel nostro territorio da diversi anni e anche condannato in precedenza per spaccio di sostanze stupefacenti, aveva fatto richiesta di restare in Italia poiché il suo allontanamento arrecava un danno ai figli.

Infatti l'articolo 31 della legge 286/1998 prevede, a tutela dei minori per gravi motivi connessi con il loro sviluppo psicofisico, l’autorizzazione alla permanenza del familiare anche se a tempo determinato.

 

Il cittadino ucraino ha presentato ricorso in una città delle Marche. Sostiene di vivere in Italia da 15 anni e con una connazionale, da cui ha avuto un figlio nel 2017 e ne accudirebbe un secondo, sempre minorenne ma nato da una precedente relazione della donna. Per l’ucraino il suo allontanamento arrecherebbe un danno ai due bambini, causa il distacco inevitabile: non sarebbe possibile infatti vivere insieme, dovendo in alternativa tornare nel Paese di origine, teatro di guerra.

 

Ma per la Corte il diritto all'unità familiare non è assoluto e non prevale sull'obbligo dello Stato di eseguire i controlli necessari sull'immigrazione irregolare. In più la tesi dello straniero ricorrente contrasta anche con la consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che in due sentenza sancisce come il diritto all'unità familiare retroceda davanti al diritto degli Stati di controllare l'ingresso e il soggiorno dei cittadini stranieri all'interno del proprio territori. L'articolo 31 del dlgs n. 286/1998 che pure tutela casi simili non è però generico: "non può essere intesa come volta ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori".

In più, nel caso specifico, il figlio nato nel 2017 non può considerarsi “radicato in Italia” perché troppo piccolo e l’ucraino non ha dimostrato l'esistenza di un particolare rapporto affettivo, così come non ha fornito prove del danno procurato dall’allontanamento.

 

Ritenere in Italia sempre un danno l'allontanamento di uno dei genitori dal minore porterebbe  chiunque abbia un figlio in questo Paese ad accampare il diritto di restare, a tempo indeterminato, con la conseguenza che si fornirebbe anche il pretesto a pratiche fraudolente in cui i figli potrebbero essere generati al solo fine di fermarsi in Italia. Il permesso di soggiorno quindi avrebbe così un senso limitato e non potrebbe più essere a tempo determinato, come in questi casi. Non solo, basterebbe la genericità del disagio, giuridicamente irrilevante, al fine del rilascio di tale permesso. 

 

La Cassazione confermando i pronunciamenti dei gradi precedenti ha così respinto il reclamo facendo capire che non si può strumentalizzare i bambini per altri fini e che in generale ogni caso va valutato nella sua singolarità.

 

Uno degli argomenti tecnici poi sollevati è che va considerata inammissibile una parte del ricorso perché censura una valutazione di merito che non può essere esaminata in sede di legittimità dalla Cassazione, giudizio che spetta solo ai giudici dei gradi precedenti.