Cronache

L’insostenibile pesantezza del “dorme?” Riferito ai bambini

di Marco Scotti

Dibattito sulla genitorialità

L’insostenibile pesantezza del “dorme?” Riferito ai bambini

“Dorme?”. Un instancabile refrain, tedioso e volgare, accompagna ogni discussione che coinvolge i neonati. Chiunque si sente in dovere di sapere come si muovono i ritmi circadiani dell’’infante e di dispensare suggerimenti non richiesti, spesso financo dannosi.

Forse è anche per questo, collegandomi all’’editoriale di Simone Rosti, che non si fanno più figli. Perché si vive nel terrore che essi rappresentino un ostacolo al riposo. La coppia che scoppia, le serate con amici che si trasformano in nottate in bianco a cullare bimbi inconsolabili e a dispensare seni o biberon. Addio al calcetto, se ne riparlerà quando il pargolo raggiungerà un’età a doppia cifra.

Arrivederci cinema, teatro, concerti, escursioni, viaggi zaini in spalla (che poi, parliamone: davvero dopo i 25 anni qualcuno ha ancora voglia di spaccarsi la schiena in giro per il globo?), addio alle mostre, allo stadio e alle notti a rimirar le stelle. Accompagnati da questo fardello di informazioni, i possibili futuri genitori si guardano intorno straniti: ma davvero essere madri e padri è questa gabbia fatta di pannolini, pappe e urletti?

E allora, signora mia, uno si fa due calcoli e pensa che contro il logorio della vita moderna e contro il caro vita il rimedio non sia un figlio. Ma, semmai, un cane. Dietro cui rincretinirsi come e più che con un bimbo, ma vuoi mettere la soddisfazione?

La verità, fuor di metafora, è che fare figli ha oggi perso la desiderabilità sociale che aveva un tempo. E non è solo colpa del precariato e dell’inflazione, ma di una mitologia che terrorizza. Chi scrive, neo-papà da poco più di due mesi, ha maledetto le notti interrotte, ma sa che ci sono sorrisi e soddisfazioni che valgono qualche occhiaia in più.

E poi c’è un tema, enorme e sottaciuto: che il genitore oggi sfugge alle responsabilità. Lo fa all’inizio della vita del neonato, maledicendo i suoi pianti e le sue levatacce. Ma lo fa anche dopo, delegando il ruolo di controllo perfino alla legge: immaginiamo un mondo in cui lo smartphone venga proibito ai più giovani per decreto: un assurdo. Perché il genitore insegna, spiega, sgrida, limita. Non è lo smartphone in sé il demone da combattere, ma l’incuria di chi non ha tempo e voglia di spiegare ai figli i pericoli della rete, i pericoli dell’invio di certe foto, i pericoli di un uso non consapevole della tecnologia più dirompente dai tempi della macchina a vapore. Torniamo a fare i genitori, avventura affascinante e faticosa. E non trinceriamoci dietro alle istituzioni che hanno cose più serie a cui pensare.

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