La Chiesa, i soldi e Bergoglio
di Antonino D'Anna

C'è un antico adagio vaticano, tramandatosi negli anni, che dice più o meno così: se nella Chiesa i soldi fossero usati solo per fare delle opere di bene, tante cose non succederebbero. È un principio caro all'attuale presidente, Ernst von Freyberg, il quale dice a Radio Vaticana (lo ha fatto il 31 maggio scorso) che: “Il mio sogno è molto chiaro: il mio sogno è che la nostra reputazione sia tale che la gente non pensi più tanto a noi; che quando la gente pensa “Vaticano”, non pensi più 'Ior' ma ascolti le parole del Papa”. Del resto, il messaggio venuto da Jorge Mario Bergoglio proprio verso il torrione di San Damaso sede dello IOR, è stato molto chiaro: è utile, ma non indispensabile. Il che però non vuol dire che la Chiesa debba vivere di elemosina, come certi interpreti lasciano suggerire.
La Chiesa e i soldi hanno sempre avuto un rapporto molto contrastato. Dal “non potete servire Dio e Mammona” pronunciato da Gesù nel Vangelo, a San Francesco che si spoglia di tutto passando per Papi mecenati e scandali finanziari all'ombra del Cupolone di Karol Wojtyla (i rampanti anni '80 del crack dell'Ambrosiano). Eppure i soldi servono, e per fare del bene ne servono tanti. Una che di bene se ne intendeva e tanto, Madre Teresa di Calcutta, era solita dire: “Non m'interessa da dove vengono, ma m'interessa dove vanno”, purché quel denaro fosse usato per ultimi e deboli.
Questo Papa è stato udito sospirare: “Ah, come vorrei una Chiesa povera!”. Da tre mesi sta dicendo e ripetendo che la Chiesa o è povera e serva del Signore che annuncia, oppure è solo una caritatevole ONG ma niente di diverso rispetto alle tante ONG del pianeta. Ha condannato il carrierismo e oggi – accanto all'ennesimo richiamo alla povertà – ha invitato la Chiesa a non cedere alla tentazione del proselitismo in nome dell'annuncio. Se qualcuno volesse un manifesto del pontificato, non ha che da guardare a questi quasi 90 giorni di papato bergogliano.
I soldi, i soldi, i soldi. Ricorda con ironia maliziosa un proverbio siciliano: “Disse il prete alla badessa: senza soldi non si canta Messa”. Se fosse per Bergoglio le Messe cantate sarebbero due, e probabilmente il prete affarista sarebbe cacciato fuori dalla Chiesa. Ma il messaggio di Francesco non è un semplice pauperismo tre palle un soldo, un povero-è-bello-perché-sa-di-Paradiso: Francesco sembra accennare ad una povertà morale che non è solo quella della Chiesa, non è solo necessaria al Vaticano. Nelle parole del Papa c'è quell'umanità “sazia e disperata” che Paolo VI ha ritratto con lucida precisione nella “Populorum Progressio” del 1967. È anche all'Occidente che parla il Papa: forse un po' di digiuno (economico e non solo) aiuterebbe questa tormentata parte del pianeta a recuperare la sua strada.