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Cronache
Mafia, nessuna fiducia nei processi. Sentenza Borsellino? Qualcosa non torna

Dal “Corriere”: “‘Via D’Amelio il più grande depistaggio della storia’. Chiesto processo per tre agenti”. Così è annunciata la sentenza per la morte del giudice Borsellino e degli agenti della sua scorta. E le virgolette della prima parte del titolo sottolineano che quelle parole sono contenute nella stessa sentenza.

So che ha titolo per commentare una motivazione chi si è molto interessato del caso, soprattutto se ha avuto il modo e la pazienza di leggere gli atti giudiziari. Io invece so soltanto che hanno ucciso quelle persone con una potentissima bomba. E per il resto niente. E allora perché ne parlo? Ne parlo perché sono rimasto scandalizzato dalla mia reazione.

Mi sono accorto che ho dato un’occhiata a quel titolo, distrattamente, senza credere una sola delle parole che leggevo. Non nel senso che fossi sicuro della loro fondatezza o infondatezza, ma nel senso che quelle affermazioni non avevano alcun peso. Era un’opinione che non valeva più di quella del primo imbecille che passa. E questo è eccessivo. Dopo vicende come quella di Tortora, di Andreotti, di Contrada (e del famoso “Processo Trattativa”) è lecito essere scettici, riguardo alle più importanti sentenze, ma sarei stato più contento di me stesso se avessi contestato le conclusioni di quest’ultimo processo con dati di fatto e argomentazioni logiche. Viceversa, arrivare a questa devastante e preconcetta mancanza di rispetto per l’amministrazione della giustizia mi ha fatto vergognare. Perché di solito sono un garantista in tutte le direzioni.

Ma poi sono stato aggredito da un interrogativo: se un atteggiamento simile l’ha uno come me, sarebbe strano che ce l’avessero anche altri? Magari molti altri? E a questo punto il problema è divenuto: che cosa può indurre ad un giudizio se non assurdamente severo, certo peggio che critico, sulla magistratura?

La risposta è contenuta nell’etimologia della stessa parola “sententia”. I romani avevano chiaro il suo collegamento con i sentimenti. Il giudice deve applicare le leggi ma nella loro applicazione è implicito il rischio dell’interpretazione e soprattutto dell’interferenza emotiva. Il giudice è un essere umano. Dunque, emettendo il proprio giudizio, è come se aggiungesse: “Questa è la soluzione che sento giusta, anche se so che potrei sbagliare”.

Ma così ho parlato del giudice ideale. Cioè quello che diffida anche di sé stesso. Purtroppo in Italia, dai tempi dei “pretori d’assalto”, ne esiste un altro tipo. Non quello che cerca di essere neutrale, ma il magistrato imbevuto di ideali morali e politici che non soltanto possono influenzarlo nelle sue decisioni, ma che lui stesso reputa giusto lo influenzino. Dunque non colui che, diffidando anche di sé, cerca di controbilanciare le proprie personali convinzioni, ma colui che si crede in dovere di farsene influenzare, essendo lui non qualcuno che deve applicare le leggi, ma qualcuno che deve lottare contro i nemici del bene e “portare avanti” la causa della buona politica.

Questo eventuale atteggiamento non rende i magistrati indegni, ché anzi, essendo in buona fede, essi reputano di fare il loro dovere meglio e con più passione di altri. Li rende estranei al loro compito. Infatti ciò che legittima l’amministrazione della giustizia non è tanto la competenza giuridica, quanto l’estraneità del giudice rispetto alla materia che tratta. Il suo essere terzo, Il suo essere terzo, rispetto alle parti, perfino quando le parti sono la polizia da un lato e un ladro o un assassino dall’altro. Mentre è sempre da temere l’identificazione intima con una delle tesi in campo. Nemo iudex in re sua, dicevano i romani: nessuno emetta giudizi su materie che lo riguardano.

Ecco perché non ho la minima fiducia nei processi di risonanza nazionale, nei processi in cui è implicato un politico (di qualunque colore sia), nei processi di mafia, dopo che per tanti anni se ne è parlato come il male assoluto, e via dicendo. In questi casi, non avendo letto le migliaia di pagine dei processi, mi sento costretto ad una totale sospensione del giudizio e guardo alle sentenze che li concludono con l’indifferenza con cui leggerei, en passant, un titolo riguardante un pettegolezzo di Hollywood o un’alluvione in Colombia. Non che tutto questo mi scusi, ma potrebbe costituire la spiegazione di un fenomeno non soltanto mio.

giannipardo@libero.it

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mafiaborsellino
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