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Cronache
Messina Denaro, 26 anni di latitanza: 100 piste sull'ultimo boss stragista
L'identikit di Matteo Messina Denaro

Messina Denaro: inseguito da 26 anni su cento piste. L'ultimo boss stragista

Il boss di Castelvetrano (Trapani) Matteo Messina Denaro e' latitante dal giugno del 1993. Da ventisei anni lo Stato da' la caccia a uno degli ultimi eredi di un sistema che collega la mafia mafia stragista ai nuovi business globali. E' stato gia' condannato all'ergastolo in via definitiva per le stragi del '93 a Firenze, Milano e Roma. "Con le persone che ho ammazzato, io potrei fare un cimitero", racconto' all'amico Francesco Geraci, gioielliere di fiducia poi diventato collaboratore di giustizia. Adesso Messina Denaro e' a processo per le due stragi di via D'Amelio e Capaci. Da 'apprendista' ha seguito Toto' Riina e Bernardo Provenzano, affiancando il padre Francesco, noto come don Ciccio, patriarca della mafia di Castelvetrano morto da latitante nel 1998, stroncato da un infarto. La storia di Messina Denaro e' raccontata nei faldoni giudiziari che riempiono le Procure di mezza Sicilia. Secondo le ultime relazioni investigative "non e' il capo di Cosa Nostra, il suo potere e' limitato alle famiglie di Trapani ma ha influenza in tutta la regione". E' padre di una ragazza - Lorenza, ormai ventitreenne - concepita in latitanza e che non avrebbe mai conosciuto. Sono centinaia i favoreggiatori arrestati e in gran parte condannati. A partire dai suoi familiari piu' stretti: la sorella Patrizia, i cognati piu' affidabili e Francesco Guttadauro, il 'nipote del cuore'. Gli investigatori hanno ricostruito e smantellato le sue reti di comunicazioni basate sui pizzini che vengono sigillati, consegnati e bruciati dopo la lettura. Ma sul boss e il suo cerchio si sono abbattuti anche sequestri e confische miliardarie, come quelle a carico di Carmelo Patti, ex patron della Valtur, e di Giuseppe Grigoli che da piccolo commerciante di Castelvetrano fini' a gestire una holding sotto il marchio Despar, presente in tutta la Sicilia occidentale.

Alcune fonti hanno giurato di aver visto Messina Denaro in Brasile, altre in Spagna in Inghilterra, altre ancora a Mazara del Vallo, in procinto di partire per il Nord Africa. Recentemente il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, ha detto che "il 2019 e' l'anno in cui verra' arrestato". Giornalmente la Dda di Palermo, diretta dal procuratore Francesco Lo Voi, riceve segnalazioni da tutto il mondo. Il pool di cattura dal luglio 2017 e' coordinato dal procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido ma fino ad allora a coordinare le ricerche del latitante era stata Maria Teresa Principato, adesso alla Dna.    Dal 2005 lo cerca anche il Sisde che in quegli anni avrebbe tenuto un rapporto epistolare con Messina Denaro, attraverso Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano con trascorsi nella massoneria. La corrispondenza fu svelata con l'arresto di Provenzano perche' nel suo covo furono trovati i pizzini in cui Messina Denaro, che si firmava 'Alessio', parlava di 'Svetonio', secondo gli inquirenti l'alias scelto per designare Vaccarino, che ha sempre negato di conoscere il latitante. I Servizi segreti misero una taglia di un milione e mezzo di euro sulla sua cattura ma in una delle ultime indagini anche un agente dll'Aisi e' stato arrestato, nell'autunno del 2017 con l'accusa di aver svelato una delle indagini sui favoreggiatori del boss: quella che faceva riferimento al boss di Gela (Caltanissetta), Salvatore Rinzivillo, come la persona giusta per arrivare a Messina Denaro.    Alcuni anni fa Saverio Masi e Salvatore Fiducia, due carabinieri in servizio a Palermo, denunciarono i vertici dell'Arma sostenendo che avrebbero loro impedito di continuare le indagini su Messina Denaro. Adesso i due militari sono sotto processo a Palermo per calunnia. Nel 2012 la Principato denuncio' di essere stata "stoppata" perche' dopo una riunione "mortificante" l'allora procuratore Francesco Messineo autorizzo' l'arresto di Leo Sutera, capomafia di Agrigento, su cui indagavano sia il collega Vittorio Teresi (con l'ausilio della Polizia) sia la Principato (a stretto contatto con i Carabinieri). Sulla vicenda intervenne anche il Csm. Per questo la Principato nel dicembre 2014 fu 'garante' di un protocollo tra Ros dei carabinieri e lo Sco della Polizia "affinche', abbandonando le rivalita' tradizionali ormai diventate oggetto di ilarita' e di barzellette - disse - lavorassero insieme, non ostacolandosi e dividendosi, da me coordinati, gli obiettivi".

Alle indagini collaboro' anche la Guardia di Finanza con il Gico che - anche in base alle rivelazioni di una fonte riservata - elaboro' uno degli identikit piu' credibili del latitante.    Della cattura si e' occupata anche la Commissione parlamentare Antimafia che ha approfondito i legami tra la mafia trapanese e la massoneria deviata. La Commissione ha ascoltato la Principato e i magistrati della Procura di Trapani (all'epoca diretta da Marcello Viola, adesso procuratore generale a Firenze) che avevano aperto un fascicolo di indagine per "associazione segreta", prevista dalla legge Anselmi. La Principato disse che "il latitante e' protetto da una rete massonica". La Commissione ha sequestrato tutti gli elenchi delle logge meridionali e nella relazione del dicembre 2017 si legge come la massoneria sia un "possibile luogo chiave per la composizione di interessi mafiosi, politici e imprenditoriali compresi quelli riconducibili a Messina Denaro". Le inchieste proseguono a negli ultimi mesi agenti del Ros e dello Sco hanno perquisito decine di abitazioni alla ricerca di informazioni sulla sua latitanza.

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