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Cronache
Oggi l'anniversario della vittoria nella Prima Guerra Mondiale

Il 4 novembre, anniversario dei cento anni della vittoria italiana nella Prima Guerra mondiale si presta, oltre la commemorazione storica, ad essere l’occasione di una analisi del concetto di nazionalismo a cui è legato quello di Patria e di “amor di Patria”.

Il 4 novembre segna il ritorno di Trento e Trieste all’Italia e il completamento ideale del processo di unificazione risorgimentale. Dal nostro punto di vista, la Prima Guerra mondiale, potrebbe essere anche chiamata la quarta guerra di indipendenza dall’Austria - Ungheria, che ci riportò le cosiddette città “irredente”.

Il sacrificio di tanti nostri soldati e quello personale di Cesare Battisti, strangolato dal boia in bombetta e fotografato (gli orrori della Storia) dai militari austriaci ridenti e beffardi, resta un fulgido esempio di attaccamento ad un ideale superiore, quello della Patria appunto, che ha mosso il processo risorgimentale.

Nessuno lo ha ricordato  tranne Paolo Mieli ieri sera in Rai Storia.

La successiva Conferenza di Parigi (che in realtà si tenne a Versailles) segnò il tradimento di alcuni patti collegati al nostro intervento in guerra e resero manifesta l’insoddisfazione degli italiani per quella che Gabriele D’Annunzio chiamò la “vittoria mutilata” e che fu una delle basi ideologiche del fascismo.

Il tema del nazionalismo, della nazione e specificatamente dell’utilizzo di una parola che per molto tempo fu tabù in Italia, e cioè “Patria”, ha scandito e segnato l’evolversi della nostra storia dopo la Seconda Guerra Mondiale.

C’è stata spesso la tendenza a considerare la parola “Patria” come qualcosa di non evocabile perché “sporca” in quanto connessa direttamente al fascismo, e a Benito Mussolini e di questo è stata responsabile la cosiddetta intellighenzia progressista.

Oggi in una intervista al Corriere della Sera il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella analizza questa ricorrenza nazionale, forse la più importante della Storia patria, ma non sfugge ad una interpretazione che pare di parte. Torna sui fatti pre-guerra affermando che non ci fu “vittoria mutilata” e che fu anzi un “mito ingannevole”, ma che questo concetto fu solo una elaborazione artata fatta dal fascismo che cavalcò il nazionalismo per prendere il potere.

Elementi di storiografia scientifica e documentale smentiscono questa tesi: l’Italia fu effettivamente trattata molto male alla Conferenza di Parigi e questo ingenerò quel sentimento naturale di rivalsa che portò all’affermazione del fascismo.

Ed anche la narrazione negativa di “manipolazione delle pubbliche opinioni” in chiave storica e politica proposta dal Capo dello Stato di un colpo di mano interventista nella classe dirigente dell’epoca (il Primo Ministro Antonio Salandra e il suo ministro degli Esteri Sidney Sonnino) ai danni del neutralismo di Giovanni Giolitti lascia perplessi per l’eccessiva semplificazione.

Mattarella ammonisce che il fallimento nel 2008 della banca Lehman Brothers (insieme alla crisi balcanica) possa trovare un’analogia nella grande crisi economica del 1929 e ritiene “non improprio cogliere qualche assonanza” paventando un ritorno anche del nazionalismo spinto e di qualcosa di simile al nazi-fascismo in Europa.

Le condizioni politiche e storiche sono troppo diverse da allora, ma se un insegnamento si può trarre da quei tragici fatti non è il pericolo del nazionalismo, ma il ripetersi di quelle condizioni di ingiustizia e non equità a cui fu sottoposta l’Italia dagli altri Stati europei vincitori ed alleati, in primis Francia e Inghilterra e che furono la causa e non l’effetto dei successivi eventi.

Il Presidente della Repubblica pare soffermarsi sul dito che indica la luna, ma non sulla luna stessa e cioè sui decenni di trattamenti poco equi e rispettosi del nostro Paese nel consesso di una Unione europea che ha fatta sua la visione di Der Spiegel, il settimanale tedesco che ci considera(va) “P38, pasta asciutta e mandolino”.

E su questo atteggiamento che il Presidente Mattarella dovrebbe intervenire col il suo autorevole ruolo nel consesso europeo e comprendere la natura dei fenomeni di protesta popolare che hanno portato all’affermazione del governo giallo-verde lo scorso 4 marzo.

Solo restituendo dignità all’Italia si potrà quindi evitare il ripetersi, seppure in forme inevitabilmente diverse, di quello che accadde dopo la Grande Guerra.

 

 

 

 

 

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