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Cronache
Ricerca, Cnr: salito all'1,3% il rapporto spesa-Pil. Ma ancora ultimi in Ue

Sebbene sia salito in 5 anni all'1,3% ilrapporto fra la spesa ed il Pil in Ricerca e Sviluppo, il nostro Paeserimane ancora ultimo nell'Unione Europea per investimenti in R&S.Eppure il sistema nazionale della ricerca è vitale. Partendo da questidati, il Consiglio nazionale delle ricerche riprende la redazionedella "Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia" che forniscea Governo, Parlamento e opinione pubblica analisi e dati di politicadella scienza e della tecnologia.

Stando al Rapporto diffuso oggi dal Cnr, in Italia il rapporto traspesa per R&S e PIL è passato dall'1% del 2000 all'1,3% del 2015, masiamo ancora in fondo alla classifica dei paesi europei. La spesa perR&S finanziata dal Governo in percentuale al PIL è rimastastazionaria, di poco superiore allo 0,5% del PIL, e gli stanziamentidel Miur agli Enti pubblici di ricerca sono calati di circa 374milioni di euro, passando dai 1.857 milioni del 2002 ai 1.483 milionidel 2015. Il Cnr, in particolare, ha subito una riduzione da 682milioni a 533 milioni.

"Ma nonostante ciò, il sistema italiano della ricerca mostra segni divitalità confortanti" segnalano i relatori dello studio che offre unaampia panoramica di dati. "La comunità scientifica lamenta la scarsitàdi risorse a propria disposizione, mentre decisori politici e opinionepubblica sono sempre più esigenti e si domandano in che misura lascienza e la tecnologia contribuiscano allo sviluppo economico esociale del paese" osservano Daniele Archibugi e Fabrizio Tuzi delDipartimento scienze umane e sociali, patrimonio culturale (Dsu) delCnr, che hanno curato il documento.

"In tale scenario, -evidenziano Archibugi e Tuzi- laRelazione intende offrire alcuni dati su cui ragionare e tenta ditradurre le statistiche in implicazioni per le politiche per lascienza, la tecnologia e l'innovazione: un lavoro non banale néimmediato". Il rapporto delinea dunque che nonostante il calo deifinanziamenti, il sistema italiano della ricerca "mostra segni divitalità confortanti, attestati dal contributo alla letteraturascientifica internazionale". Dal 2000 al 2016 l'Italia è infattipassata dal 3,2% al 4% della quota mondiale, raggiungendo la Francia.

Un risultato, sottolinea il Rapporto, "ancora più apprezzabile" se sipensa che i paesi occidentali hanno visto la propria quota ridursi, inconseguenza dell'imporsi nel panorama scientifico di paesi emergenti,primo tra tutti la Cina. "La posizione dell'Italia è migliorata-rilevano Archibugi e Tuzi- in Biologia (dove cresce dal 3,7% deltotale mondiale del 2000 al 4,5% del 2016), nella Psicologia(dall'1,7% al 2,9%) e nelle Scienze della terra (dal 3,6% al 4,9%).Anche la qualità di queste pubblicazioni, misurata tramite lecitazioni medie per articolo scientifico, è in aumento dal 2000 inpoi, l'Italia è pari alla Germania e alla Francia e molto vicina alRegno Unito".

"Destano invece preoccupazione i segnali sulla moderata crescita delpersonale di ricerca, la caduta dei dottori di ricerca dagli oltre 10mila del 2007 a meno di 8 mila nel 2016" aggiungono i curatori delrapporto. Qualche dato positivo si registra sui brevetti: in aumentoquelli depositati da imprese e autori italiani, ma non in misurasufficiente a tenere il passo con la crescente tendenza a proteggeredi più, legalmente, le innovazioni industriali. Tra i settori di puntaa livello brevettuale l'ingegneria meccanica, che concentra il 42%delle domande presentate presso l'Ufficio europeo e che è il settorecon la crescita più marcata.

Nei design industriali registrati presso l'UnioneEuropea, ossia i diritti di proprietà intellettuale relativi alleinnovazioni di tipo non tecnologico, quali quelle nella progettazioneo nei modelli ornamentali, siamo secondi solo alla Germania. Èconfermata la specializzazione produttiva italiana in settori ad altocontenuto di conoscenza e collegati ai settori tipici del Made inItaly (quali mobili e arredi, illuminazione, cucine), ma che nonricavano il proprio punto di forza dalla ricerca scientifica etecnologica.

Nel commercio ad alta tecnologia l'Italia resta sotto il 2% delleesportazioni high-tech mondiali, meno della metà della quota francesee inglese e addirittura un quarto di quella tedesca. In negativo ancheil mercato farmaceutico: la quota di mercato dell'Italia sulleesportazioni mondiali passa da più del 6% conseguito nel 2000 al 4%del 2016. Cresce invece quella sulle esportazioni mondialinell'automazione industriale, che passa dal 4,5% al 6,8%.

"L'analisi combinata dei dati concernenti input (la spesa per R&S) eoutput (pubblicazioni scientifiche, brevetti, commercio hi tech)mostrano la necessità del sistema-paese di valorizzare e moltiplicaremeglio l'impatto delle limitate risorse" osservano Archibugi e Tuzi."Il problema -indicano- è evidente se si considerano le consistentirisorse messe a disposizione dalle politiche regionali che non hannoavuto un ruolo chiave nel sostegno dell'innovazione". Secondo icuratori del rapporto, "l'Italia deve elaborare una strategia di smartspecialization, dove le risorse disponibili, auspicabilmente inaumento, siano destinate ai settori strategici, partendo dallecompetenze esistenti e innestandosi nel sistema produttivo".

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