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Cronache

Roma non è come Palermo negli anni '80

Di Pietro Mancini

"Roma come Palermo anni 80: nessuno vuol vedere la mafia!". L'esternazione, mitragliata ieri, in prima pagina, da "Il Fatto Quotidiano", è firmata da don Michele Prestipino, siciliano, 58 anni. È il vice, oggi, del Capo della Procura capitolina, Giuseppe Pignatone, come, in passato, a Reggio Calabria, dove le inchieste portarono allo scioglimento, per presunte infiltrazioni mafiose, del Consiglio comunale. Il periodo tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli 80 fu, a Palermo, la stagione di mafia più cruenta. Furono uccisi esponenti di qualsiasi grado delle istituzioni. L'avviso dei boss era chiaro : nessuno doveva mettersi in mezzo! Nel giro di pochi anni, vennero eliminati giudici, di cui Cosa Nostra temeva non le interviste ma le inchieste (Cesare Terranova, nel 1979, Gaetano Costa, nel 1980, e Rocco Chinnici, nel 1983), politici di primissimo piano, come il fratello dell'attuale Capo dello Stato, il dc Piersanti Mattarella, Presidente della Regione, il segretario regionale del Pci, Pio La Torre, da sempre attivo nell'impegno antimafia. Il governo inviò a Palermo, come prefetto, il generale dei Carabinieri, Carlo Alberto dalla Chiesa. L'alto ufficiale aveva chiesto ad Andreotti e a Rognoni poteri speciali di coordinamento, che non arrivarono mai. Puntuale, invece, l'agguato mafioso, che stroncò la vita del prefetto e della sua giovane moglie. Oggi, a Roma, la situazione è preoccupante, al punto da indurre il Viminale ad assicurare la scorta a Matteo Orfini, presidente del PD e commissario del partito. Ma, dott. Prestipino, non viviamo come a Palermo che, a metà degli anni 80, fu una città dove l'unico principio ordinante era la legge del sangue di mafia. Dall'estate del 1985, nelle strade, cominciarono a cadere personaggi, diventati scomodi per Riina e c., come il coraggioso Capo della Mobile, Ninni Cassarà, vittime ignare, come il giovanissimo Gianmatteo Sole, industriali come il Presidente della squadra rosanero, Roberto Parisi. Oggi Ostia, X municipio di Roma, non è un'oasi pacifica. Ma la malavita non ha stecchito nessuno. Il 14 giugno scorso, c'è stato un incendio doloso, secondo un modus operandi già visto sul litorale.

Dei circoli Pd di Ostia si è occupato Fabrizio Barca, nella sua relazione sul Pd romano: nessun accenno a clan mafiosi, solo richiami alla necessità di impedire che gli interessi particolari prevalgano su quelli generali. Il dott.Prestipino continui a esercitare il doveroso controllo di legalità e a scoprire i responsabili dei reati. Ma non spetta a lui il compito di denunciare, perseguire i fenomeni e sentirsi difensore anche della moralità. Come ha preannunciato Alfonso Sabella, magistrato e assessore alla legalità nella giunta Marino, il Comune non sarà sciolto per mafia, perché non sussistono gli estremi. E tutti devono fare il proprio lavoro, non quello degli altri. Da Renzi in giù, la politica eserciti le proprie responsabilità. Continuando nello scaricabarile, danneggerebbe, ulteriormente, la propria credibilità e direbbe a Pignatone e a Prestipino quanto dissero a Di Pietro, Boreali e Caselli i leader, tentennanti e deboli, dei partiti della Prima Repubblica : giudici, prego, accomodatevi e decidete voi ! E la gogna mediatica si sostituirà alle garanzie, che devono valere non solo per l'onesto Marino, ma anche per gli ex assessori arrestati, per l'ex Sindaco, Alemanno, indagato, e per i presunti boss di "Delinquenza capitale", Buzzi e Carminati.

Non solo Prestipino, ma tutti i magistrati non dovrebbero esternare le loro sensazioni, risparmiandoci il rituale appello alla mitica "società civile", chiamata a scendere in piazza contro gli infami poteri criminali e massonici. E il compito del pubblico ministero, che in un procedimento penale è la parte pubblica, non è difendere le proprie convinzioni, personali o politiche. Ma garantire il funzionamento della giustizia e accettare anche le critiche di quanti cnon vanno mascariati come "amici dei presunti mafiosi" solo perché dissentono dal l'impostazione di quanti stanno indagando su "Delinquenza capitale" e sul "mondo di mezzo" di Roma. Il premier, su un nodo così delicato, come le prospettive del Comune, non deve subire la pressione mediatica e delle toghe, guardandosi bene dal consentire ai magistrati, pur stimati, come don Raffaele, di ....scantonare, assumendo ruoli di supplenza. Renzi, ma soprattutto Pignatone e Prestipino, riflettano su queste parole, che Giorgio Napolitano pronunciò, 7 anni fa, intervenendo all'assemblea plenaria del CSM : "Il magistrato non deve dimostrare alcun assunto, non certamente quello di avere il coraggio di toccare i potenti, anche contravvenendo a regole inderogabili. Nè può considerarsi chiamato a colpire il malcostume politico, che non si traduca in condotte penalmente rilevanti. La sola, alta missione, da assolvere, è quella di applicare e far rispettare le leggi, attraverso un esercizio della giurisdizione, che coniughi il rigore con la scrupolosa osservanza dei principi del giusto processo e delle garanzie, cui hanno diritto tutti i cittadini".