Dimissioni sanitari, quando il giuramento di Ippocrate si trasforma in una tabella di marcia industriale, rimangono solo le dimissioni irrevocabili - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 08:20

Dimissioni sanitari, quando il giuramento di Ippocrate si trasforma in una tabella di marcia industriale, rimangono solo le dimissioni irrevocabili

Una vita fa ero un chirurgo ortopedico, poi con il tempo sono diventato uno schiavo di un ingranaggio che doveva girare più velocemente del tempo fisico concesso dalla biologia

Il commento

Eccomi qui. Una vita fa, ero un chirurgo ortopedico,dipendente da un policlinico emiliano, inglobato in una catena di montaggio preparata dagli abili “ragionieri” della salute. Non ero più un medico, ero uno schiavo di un ingranaggio che doveva girare più velocemente del tempo fisico concesso dalla biologia.

Non praticavo più l’ars medica, ma ero diventata un cronometro umano che scandiva il tempo dell’efficienza di cura. Dovevo visitare 10/12 pazienti ortopedici in un’ora. Erano concessi circa 6 minuti a paziente, indipendentemente dalle patologie, dalla presenza di gessi, tutori, ulcere, ferite, disabilità varie, ecc. Sei minuti per visitare un paziente ortopedico, leggere la sua storia, redigere un’anamnesi decente, eseguire una semeiotica, leggere una Rx/RMN/TC, medicare una ferita, digitare al computer e, contemporaneamente, intuire il suo dolore e decidere del suo destino diagnostico e prognostico.

Una visita diventava una sfida contro il tempo, un azzardo costante contro la stanchezza fisica e psichica che demotivava e induceva all’errore, mentre in sala d’aspetto premevano decine di persone e relativi familiari. Questa non era più medicina, era una catena di montaggio di carne umana dove il "paziente" era considerato un "numero" ed io il suo burocrate con il bisturi. I ragionieri della salute, i vari DG/DS/DA, mi hanno sempre detto che ero brava se eseguivo quattro protesi in una mattinata, una dietro l’altra: “Corri, incidi, taglia, sega, impianta la protesi, sutura, medica, dimetti presto il paz.!”. Passa al prossimo numero. Non c’è spazio per il contatto umano, non c’è spazio per l’imprevisto. E se il corpo di quel paziente non risponde come dice la linea guida o il report aziendale/regionale? Non importa, la tabella di marcia non ammette ritardi. Il rischio clinico? Un fastidio statistico.

La qualità del mio lavoro? Un lusso sacrificato sull’altare dell’efficienza. E poi, l’insulto finale: le dimissioni precoci del paziente. Devi dimetterlo perché è un costo e non è più un ricovero appropriato! Dimissioni obbligate, imposte dalla Regione: "In quinta/sesta giornata tutti fuori o trasferiti" e non importa se quel paziente vive solo, se non è autonomo, se ha la febbre, se il drenaggio “spurga”. La Direzione Generale ha fatto i conti: il letto serve, il letto è un costo e deve essere liberato, il turnover deve essere frenetico, il budget deve quadrare e non sono ammessi rallentamenti; l’errore è un costo previsto, il rallentamento NO! Mi costringevano a risparmiare sui giorni di degenza, ci siamo inventati il "fast track" perché il letto deve essere liberato in pochi giorni, il DRG deve essere ottimizzato, il costo deve essere abbattuto.

Siamo diventati degli albergatori cinici, costretti a risparmiare sull'umanità. Tutto per un segno "più" su un bilancio e per la tanto decantata "Efficienza" aziendale, mentre io la chiamo negligenza istituzionalizzata. I “ragionieri della salute” hanno inventato una vera e propria catena di montaggio che non ammette inciampi di percorso. Mi chiedono di firmare una lettera di dimissioni, quando la mia coscienza sa che il paziente "ha ancora bisogno di cure". Mi chiedono di essere il braccio armato di una ragioneria che mette i bilanci sopra la cura, tanto ai ragionieri cosa interessa; la faccia e la firma sono le mie e sarò io a rispondere in prima persona, di eventuali complicanze. Ma la rabbia più nera, quella che ti morde lo stomaco mentre ti lavi le mani per l’ennesima volta in sala operatoria, è verso me stessa. Perché io ci sono cascata. E' vero,ho abboccato. La colpa è mia perché ho accettato passivamente la retorica del sacrificio per il bene dell’azienda, ho chinato la testa davanti ai tanti fogli Excel dei "ragionieri della sanità".

La colpa è mia perché ho permesso che trasformassero il mio giuramento in un contratto a cottimo. Mi hanno venduto l’idea dell’efficienza, mi hanno lusingato con la retorica dell’eccellenza produttiva ed io ho accettato di correre come un mulo, di barattare la mia scienza. Ho accettato di trasformare la mia professione in una sterile prestazione d’opera. Ho permesso che la Regione e i suoi manager seduti dietro scrivanie pulite mettessero le mani sul mio campo sterile. Sono io che l’ho permesso, piegando sempre la testa, permettendo 10/12 visite all’ora. Mi hanno convinto che fossi un bravo chirurgo ortopedico se avessi eseguito 15 neurolisi del mediano al carpo in una mattina, 4 protesi in un pomeriggio, una protesi in 30 minuti, salvo poi richiamarmi all’ordine se, per un reimpianto protesico, avessi impiegato 8 ore; troppe, non ero più efficiente! Un ritmo frenetico, dove il sudore sotto il camice impermeabile e la mascherina non era unicamente figlio della complessità dell'intervento, ma dell’assillo di restare indietro sulla tabella di marcia. Caposala, faccia entrare il prossimo paziente, avanti con il “pit stop”. Peccato che sotto i ferri, ci siano esseri umani. Questa non è più medicina, ma una parodia della cura.

Sono un chirurgo, dovrei essere l'ultimo baluardo tra la malattia e il paziente. Invece, mi sentivo solo e unicamente un ingranaggio, complice di una macchina che macinava numeri e sputava fuori pazienti, in nome di un risparmio che non aveva più nulla di umano. Hanno vinto loro, i vari politici, DG, DA, DS, perché sono riusciti nell’intento di trasformare gli Ospedali(o maiuscola!) in aziende(a minuscola!) che devono produrre profitti e risparmi, ma il prezzo di questo "risparmio" non lo pagano i manager sanitari; lo pagano i pazienti e il personale sanitario schiavizzato. Mi ero lasciata convincere che “correre” in sala operatoria, in ambulatorio, in reparto significasse salvare più persone, quando invece stavo solo salvando i bilanci di chi non ha mai tenuto un bisturi in mano e si aumentava arbitrariamente lo stipendio, per un ipotetico raggiungimento degli obiettivi(obiettivi, predeterminati da LORO stessi!!!). Avevo permesso che trasformassero la mia arte in una prestazione, la mia prestazione in un budget. Mi ero lasciata convincere che efficienza fosse sinonimo di cura, mentre era solo un paravento dietro cui questi "ragionieri della sanità" nascondevano lo smantellamento del SSN e della mia dignità professionale,ma il vero dramma era che io stessa glielo consentivo. Io avevo “abboccato” a quell’ingranaggio perverso.

L’ho capito tardi ma, fortunatamente, ho capito che non potevo più far parte di una sanità che aveva smesso di curare per iniziare a fatturare. Nonostante tutto, sono ancora un essere umano ed un chirurgo che dice NO, ora basta, tenetevi la vostra maledetta catena di montaggio, io non sono più la vostra schiava in camice bianco, per questo, anni fa, mi sono dimessa!

di Mirka Cocconcelli, chirurgo Ortopedico Bologna