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Cronache
Scandalo Palamara, il silenzio ci rende tutti complici

Di Annamaria Bernardini de Pace

Io sono come Dacia Maraini: quando mi metto a scrivere, sono felice come se stessi correndo verso il mio uomo amato.

Purtroppo oggi penso che invece di fare l’amore, ci guarderemo allibite e indignate, la parola e io, mentre metteremo le mani sotto il lercissimo tappeto della giustizia. Anzi, di certa parte della magistratura. Sono figlia di un magistrato, arrivato alla procura generale a 37 anni, quando poi ha lasciato la magistratura perché ha capito che i suoi colleghi cominciavano a suddividersi in correnti politicizzate. Come ha sempre detto un grande magistrato mio amico e che ho sempre ammirato, non puoi fare questa professione se non sei un uomo libero. E, ormai, se sei libero te la fanno pagare. Quindi, su novemila magistrati di sicuro la maggior parte sono bravi, onesti, preparati, ma gli altri disonorano la giustizia. Che è pur sempre uno dei tre poteri dello Stato.

E uno dei principi giuridici basilari dello Stato di diritto e della democrazia è la separazione dei poteri.

Gli abusi di potere, la corruzione e l’insulto alla democrazia si hanno quando potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario si mescolano, anche non solo surrettiziamente, per produrre intrugli d’ogni specie. Come avviene adesso. Il potere legislativo è inesistente, ormai depauperato; il potere esecutivo, ormai, dittatorialmente fa anche le leggi; il potere esecutivo e alcuni settori del potere giudiziario hanno una relazione illecita, pornografica, e neppure tanto clandestina. In questa non democrazia c’è praticamente un despota, con tre corpi e una sola testa.

In qualsiasi paese civile del mondo, oggi, malgrado i problemi del covid, si parlerebbe soprattutto dello scandalo magistrati; i giornali sfornerebbero pagine e pagine di intercettazioni, di editoriali colti, di interviste eccellenti. Invece qui niente. Sui grandi quotidiani se ne parla en passant come fosse una notizia di quarta; il Fatto, foglio governativo, difende il sistema stellato, pur essendo scritto da chi una volta era liberale e ora si spreca nel difendere, con grande abilità peraltro, chi è indifendibile. In qualsiasi posto civile, questa tirannia sarebbe combattuta.

Dunque, in realtà, viviamo una vera schifezza. È indecoroso per un paese, ancora autoproclamantesi civile, che la giustizia non solo non sia inattaccabile, ma si riveli una fogna puzzolente di giochi di potere, protezioni, strafottenza della legge e dell’onore. A discapito non solo degli italiani in genere, ma soprattutto dei magistrati sani e onesti che vengono coinvolti nel cocktail maleodorante. Loro malgrado. E senza potersi difendere dai despoti che li manovrano.

Del resto, criticare l’operato della magistratura vuol dire essere definiti, con disprezzo, berlusconiani, salviniani, fascisti. Come se fosse più inverecondo dell’essere magistrati inadeguati e corrotti. D’altra parte l’intreccio di potere e di sudicie costruzioni tra politica e magistratura, sembra essere – finora – solo con la sinistra. Quale mai può essere la difesa dei maneggioni? Il silenzio. O l’attacco. Ormai non si riesce a parlare più dell’oggetto della questione: se si affronta un tema, si aggredisce subito l’avversario politico, insultandolo. Così non si esamina per nulla il problema, ma si cerca di abbattere chi l’ha proposto. Forse perché fa bruciare la coscienza, il parlarne.

Ma è normale che non ci siano centinaia di dibattiti televisivi o sulla carta stampata, per ragionare obiettivamente sugli “obiettivi” di Palamara? “Bisogna fermare Gratteri”, “bisogna fermare Salvini” e nel frattempo escono centinaia di detenuti e boss mafiosi dalle carceri. Col beneplacito di certi svagati magistrati di sorveglianza e del ministero della giustizia. E che dire del ministro coinvolto in una burletta di sfiducia fiduciata? Mille autori televisivi e altrettanti giornalisti non saprebbero creare tanto materiale di confronto e discussione, quanto ne emerge dalle intercettazioni di Palamara e dai fatti che, in un modo o nell’altro, riguardano il mondo della giustizia. Non sono pochi 9.000 magistrati. E moltissimi sono eccellenti. La verità è che non tutti meritano il privilegio di esserlo.

Molti sono incapaci, improduttivi, lottizzanti e lottizzati. Sono scelti dal CSM non in base al merito, ma in base agli interessi di chi li sceglie. È ovvio che la magistratura perda di credibilità. Quando poi peraltro le sentenze vengono fatte ad usum delphini o contro il nemico politico. Pensiamo solo all’avvocato di 32 anni precipitato da un parapetto interno del Tribunale di Milano e rimasto paralizzato. Cosa hanno deciso i magistrati, dopo avere indagato, in silenzio, i capi degli uffici giudiziari milanesi? Hanno archiviato e quindi non ci sono né colpevoli né risarcimenti. Ma chi doveva pensare a transennare e avvertire del pericolo per la balaustra bassa? Secondo me i capi degli uffici giudiziari, i quali avevano anche chiesto soldi al Ministero per sistemare. Ma i giudici sono stati “assolti” dai loro colleghi; quando invece per un bimbo precipitato nel cortile della scuola sono state indagate, pubblicamente, maestra e bidella. Vedremo se anche questi giudici saranno garantisti, come gli altri con i loro colleghi, sostenendo che negli spazi usati da tutti non c’è responsabilità di nessuno… Ecco, questo non va bene!

Non va bene che ci sia quella che appare una trattativa Stato-mafia e non se ne parli. Non va bene che ci siano gli obbrobri comportamentali dei magistrati, quali appaiono dalle intercettazioni, e non se ne parli. Non va bene che l’azione penale – che è obbligatoria – si attivi e proceda in prevalenza se dà notorietà al PM o se può asfaltare un politico di destra. Non va bene che molti giornalisti, complici e servi del connubio licenzioso e osceno fra magistratura e politica, si muovano solo all’ordine del capo politico o giudiziario di turno, dimentichi anche loro dell’indipendenza. Non va bene che ci sia la censura su tutto questo. Che si reprima lo sdegno per non apparire di destra. Che non si combatta per la democrazia e per dare un senso al nostro voto. Per infrangere il silenzio criminoso. Non va bene. Bisogna ricominciare a pretendere l’etica dello Stato, l’indipendenza dei poteri, la dignità di ciascuno di noi. Continuando a subire, zitti e per quanto arrabbiati, siamo tutti complici.

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