Social e smartphone, allarme dipendenza: è tempo di pensare meno a noi stessi e un po' di più ai nostri figli e nipoti - Affaritaliani.it

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Social e smartphone, allarme dipendenza: è tempo di pensare meno a noi stessi e un po' di più ai nostri figli e nipoti

La sfida del 21esimo secolo

di Vincenzo Rienzi

Smartphone e social, ecco come è cambiato il nostro modo di vivere e riempire il tempo. Il commento 


Negli ultimi due decenni, l’avvento degli smartphone e dei social network ha trasformato radicalmente il modo in cui comunichiamo, lavoriamo, apprendiamo e viviamo il tempo libero. Se da un lato queste tecnologie hanno portato numerosi benefici, dall’altro hanno generato nuove forme di dipendenza comportamentale, che sollevano preoccupazioni crescenti in ambito psicologico, sociale e sanitario. La dipendenza da smartphone e social network è oggi oggetto di studio da parte di scienziati, educatori e policy maker, consapevoli dell’impatto potenzialmente negativo che tali strumenti possono avere, soprattutto sulle giovani generazioni.

Trattasi di una vera e propria dipendenza comportamentale, quella tipologia – cioè – di dipendenze che non si legano all’abuso di alcuna sostanza, ma che producono ugualmente effetti negativi simili alle dipendenze classiche.  Chi ne soffre sviluppa una relazione compulsiva con il dispositivo o con la piattaforma digitale, arrivando a perdere il controllo sul tempo speso online e a trascurare altre attività importanti come lo studio, il lavoro, il sonno o le relazioni interpersonali.

Sapete quali sono le fasce più colpite? So che tutti lo sapete, ma ve lo dico lo stesso: Adolescenti: in piena fase di costruzione dell’identità, gli adolescenti sono molto sensibili alla pressione sociale online e più esposti ai meccanismi di gratificazione immediata; Giovani adulti: anche per motivi lavorativi o relazionali, molti giovani adulti vivono costantemente connessi, con un aumento del rischio di burnout digitale; Bambini: seppur meno autonomi nell’uso dello smartphone, l’esposizione precoce agli schermi può influenzare lo sviluppo cognitivo e sociale. Ma se dovessimo dar la colpa a qualcuno di tutto questo, sicuro che l’unico responsabile debba essere visto nell’inventore dei Social e degli smartphone?

Io credo, che se proprio dobbiamo incolpare qualcuno, è necessario girare lo specchio, guardare noi stessi, e puntare decisi il dito verso il riflesso che ci appare dall’altra parte. D’altronde, evitiamo di prenderci in giro.. la baraonda dei social network ha totalmente invaso le nostre menti, c’è chi ne ha tirato fuori un lavoro, chi ci vince le elezioni (pensate che Musk e Zucherberg sono stati fondamentali per la seconda elezione di TRUMP e, non a caso, erano in prima fila presenti alla sua “incoronazione”…), chi ci fa carriera politica e chi, anche in Italia, non può fare a meno di utilizzarli perché se lo chiedi in giro oggi chiunque ti risponde: “nel 2025 per la tua attività non puoi prescindere dai social…”. E poi diciamoci la verità, un po' a tutti – inclusa la mia generazione, miracolosamente scampata agli smartphone (ma di poco) – piace essere conosciuti, riconosciuti, adulati e, perché no, criticati e, a volte, persino denigrati sui social.

Io penso quindi che, se vogliamo iniziare a risolvere quello che ad oggi si presenta già come un problema senza precedenti, dobbiamo partire da noi, perché se noi non diamo l’esempio, se non siamo in grado di fare a meno di postare, fotografare, fare video, immortalare, fare storie, reel, e chi più ne ha più ne metta, ben poco potremo fare per i nostri figli. Ritengo piene di tanta ipocrisia, poi, le espressioni di coloro che tanta popolarità hanno sui social (rappers, trappers, influencers & co) che, quando interpellati, si limitano a dichiarare di non dover essere presi come degli esempi da seguire, perché se davvero pensassero questo, e davvero volessero aiutare i nostri figli, la prima cosa che dovrebbero fare è abbandonare i social e simili, altrimenti saranno sempre e per sempre ritenuti – quanto meno oggettivamente – responsabili del cambiamento generazionale cui stiamo assistendo.

A me il primo telefonino è arrivato a 17 anni, un siemens verde che mandava solo sms e non aveva i classici giochetti del nokia, ancora lo ricordo, ottenuto dopo faticosissime battaglie con i miei genitori che tanto hanno fatto per tenermi al riparo dalle radiazioni dei cellulari (dovetti barattarlo con la garanzia di utilizzo dello stesso con gli auricolari sempre). Solo oggi mi rendo conto di quanto fu delicata per loro questa scelta, e se penso che oggi, a 10/12 anni, ai bambini viene messo in mano il primo smartphone, giuro, mi vengono i brividi. E non voglio essere ipocrita, ho una bimba di 6 mesi che, di sicuro, a un certo punto vorrà “battere cassa” e pretendere anche lei il cellulare, e sono terrorizzato dalla paura di cosa dovrò risponderle, pervaso da un lato dalla paura di mettere nelle sue mani una vera e propria “arma” e, dall’altro, di essere colui che potrebbe non farla sentire accettata dal gruppo.

Ma allora, cosa si può fare? Una soluzione, a mio parere c’è, e la buona strada la ha imboccata proprio il nostro attuale Ministro della Pubblica Istruzione Valditara, sancendo definitivamente il divieto, per i nostri figli, di utilizzo del cellulare in classe a decorrere dal prossimo anno scolastico. La rivoluzione è ancora possibile, ma deve partire da noi. Dobbiamo imparare a fare a meno del clickbaiting, della riconoscenza, del tentativo di emulazione degli influencers, di far foto e video a qualsiasi cosa insomma, dobbiamo essere noi i primi a dare l’esempio, a mettere da parte lo smartphone e a dedicare il nostro tempo libero anziché al nervoso scrollamento della nostra piattaforma, rivolgere le nostre attenzioni ai veri bisogni dei nostri figli.

Solo cosi potremo essere parte integrante di un cambiamento che si presenta sempre più indispensabile, sennò teniamo bene a mente che, nel momento in cui nostro figlio o nostro nipote dovesse chiedere aiuto – come è successo qualche giorno fa a un ragazzo di Torino – per una crisi d’astinenza da smartphone, ipocriti saremo a rivolgere il dito contro social network e influencers.

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