Culture
A breve si scoprirà la cinquina del Premio Strega 2025: vi raccontiamo i dodici romanzi in gara
I libri rientrati nella dozzina e le interviste agli autori: lo speciale di Affaritaliani.it sul Premio Strega 2025

1) Portofino blues di Valerio Aiolli (Voland)
Nel suo nuovo romanzo Portofino blues, Valerio Aiolli affronta uno dei misteri irrisolti più emblematici dell’Italia recente, intrecciando la sorte enigmatica di una figura del jet set internazionale alla narrazione collettiva di un Paese che non smette di interrogarsi sul proprio passato prossimo. L’opera si apre con un fatto realmente accaduto: l’8 gennaio 2001, nel giardino della sontuosa Villa Altachiara, a picco sul mare ligure, sparisce Francesca Vacca Agusta. Una ventina di giorni dopo, il suo corpo verrà ritrovato in acque francesi, senza che nessuna certezza accompagni il ritrovamento.
Aiolli compone il racconto come un mosaico inquieto, dove ogni frammento – una voce, un ricordo, un titolo di giornale – contribuisce alla costruzione di un quadro che sembra destinato a restare incompleto. Tra sussurri e interrogativi, emerge il ritratto sfaccettato di una donna complessa, contesa tra il privilegio e la solitudine, che da protagonista del lusso internazionale finisce inghiottita da un destino opaco.

Ma Portofino blues (Voland) è ben più di una cronaca romanzata: è uno scavo nelle pieghe della società italiana, un’indagine che abbraccia territori geografici e morali, dai fasti liguri ai rifugi fiscali svizzeri, dalle ville lombarde agli scenari esotici di Acapulco e Miami. Nel continuo alternarsi di prospettive, l’autore costruisce un dispositivo narrativo che mescola documentazione e immaginazione, lasciando spazio all’ambiguità e alla sospensione.
Tra le righe, si dipana anche il racconto di un’epoca: quella attraversata da Tangentopoli, dalle metamorfosi della finanza, dagli eccessi mediatici del berlusconismo nascente. Il mistero della contessa diventa specchio di un’Italia sedotta dalla ricchezza, disillusa dalla politica, ipnotizzata dallo spettacolo del potere.
Aiolli adotta uno stile essenziale, ma denso di risonanze, capace di evocare paesaggi mentali e atmosfere decadenti. Ogni capitolo è un affondo nell’inconscio nazionale, un’ulteriore tessera di un enigma che si fa allegoria. La prosa, limpida e tagliente, restituisce una narrazione che si muove tra noir e romanzo storico, tra cronaca e introspezione.
Con Portofino blues, proposto al Premio Strega 2025 da Laura Bosio, l’autore conferma la propria vocazione a sondare i margini della storia italiana, costruendo trame che non offrono soluzioni, ma rilanciano domande. Un’opera che inquieta e affascina, tenendo accesa la fiammella del dubbio e dell’attenzione.

Intervista all’autore
Da dove prende vita il suo interesse per la figura della contessa e la volontà di raccontarne la storia?
“Anni fa una coppia di amici mi segnalò di osservare con un po’ di attenzione la vicenda legata alla vita e alla morte di Francesca Vacca Agusta, che io ricordavo vagamente. Bastarono poche ore passate in rete per convincermi che si trattava di una storia complessa, stratificata, fortissima, e che era necessario che mi provassi a raccontarla con gli strumenti della letteratura.
Oltre al mistero del “cosa accadde davvero quella sera nella villa”, a intrigarmi in pari misura era la possibilità di narrare le vite di personaggi molto diversi tra loro (l’imprenditorialità della famiglia Agusta, la scalata sociale di Maurizio, la vita errabonda di Tirso, la fresca bellezza di Susanna), i quali portavano nella storia pezzi di mondi importanti nel passato recente italiano, ma non solo: il miracolo economico degli anni ’50 e ’60, Tangentopoli, il Messico dei ricchi, solo per citarne alcuni.
La loro interiorità, che soltanto l’immaginazione letteraria poteva provarsi a ri-creare, rappresentava poi un ventaglio variegato di caratteri, in cui ciascuno avrebbe potuto trovare punti di contatto o di distacco. E tutto questo circo girava intorno alla figura di una donna che della bellezza e della disinvoltura aveva fatto il proprio passaporto, rispecchiandosi in qualche modo anche nella bellezza di Portofino, e che affrontava con pena e fatica l’inevitabile china dell’invecchiamento. C’erano poi le manovre per accaparrarsi l’eredità, che, dopo la sua scomparsa, avvenivano sotto gli occhi degli inquirenti e della stampa. Insomma era una singola vicenda ma ne conteneva molte, una più interessante dell’altra”.
Come mai ha scelto di seguire il filone noir, oltre alla biografia? È un genere che la appassiona?
“In tutti i miei libri, anche in quelli più apparentemente “white”, ho cercato di inserire meccanismi narrativi che tenessero viva la tensione, e ho sempre avuto la sensazione di stare scrivendo dei thriller, sia pure magari dell’anima, anche se poi alla fine non lo si percepiva coscientemente.
In questo caso il procedimento è più scoperto perché è la storia stessa che lo chiama: una vicenda intricata e mai chiarita fino in fondo poteva essere indagata meglio proprio con gli strumenti della storia di tensione. Non credo, però, di essermi appoggiato più di tanto agli stilemi del noir: non c’è un personaggio “maledetto” che fa l’investigatore, non c’è una storia d’amore impossibile che si chiude sotto la pioggia. C’è un sentimento, questo sì, nero, o almeno grigio scuro, che avvolge i personaggi presenti a Villa Altachiara in quella giornata d’inverno del 2001, che però poi vengono raccontati in tutti gli altri loro colori, attraverso i vari momenti del loro passato che emergono dal quel buio, prima di affondarvi nuovamente”.
Come si sono svolte le ricerche per il libro, che è ambientato in tante località diverse?
“Su internet si trovano molti elementi: quotidiani dell’epoca, filmati, interviste, file audio. Poi ci sono i libri, sia quelli scritti dagli stessi co-protagonisti (o da loro conoscenti) che le più o meno rigorose ricostruzioni giornalistiche: in parte si tratta di pubblicazioni acquistabili, in parte reperibili in biblioteca.
Poi i sopralluoghi, ripetuti spesso più di una volta: a Portofino, a Cascina Costa, a Cap Bénat. Al Messico ho dedicato un mese intero. In alcuni di questi luoghi, oltre a osservare nell’insieme e nei dettagli, mi è capitato di parlare con qualcuno che in qualche modo, sia pur alla lontana, aveva avuto a che fare con la vicenda. In tutto ho lavorato per un paio d’anni, a tempo pieno. È stato un viaggio intenso, a volte disperante, più spesso entusiasmante”.