A breve si scoprirà la cinquina del Premio Strega 2025: vi raccontiamo i dodici romanzi in gara - Affaritaliani.it

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A breve si scoprirà la cinquina del Premio Strega 2025: vi raccontiamo i dodici romanzi in gara

I libri rientrati nella dozzina e le interviste agli autori: lo speciale di Affaritaliani.it sul Premio Strega 2025

di Chiara Giacobelli

2) La signora Meraviglia di Saba Anglana (Sellerio Editore)

Nel suo sorprendente esordio narrativo, La signora Meraviglia, Saba Anglana compone una tessitura di memorie familiari e interrogativi esistenziali, facendo vibrare sulla pagina una voce insieme lirica, ironica e politicamente consapevole. Nata a Mogadiscio da madre etiope e padre italiano, l’autrice – già nota per il suo talento musicale e teatrale – trasporta nel romanzo la stessa forza espressiva che da sempre contraddistingue la sua arte. Ne scaturisce un racconto a cavallo tra memoir e saga, tra indagine sulle origini e mappa emotiva di un’appartenenza spezzata.
     
La vicenda si snoda lungo un doppio binario temporale. Da un lato la nonna Abebech, fanciulla etiope strappata alla propria terra nel 1938 e condotta in Somalia da un ascaro, nel cuore dell’Africa Orientale Italiana coloniale; dall’altro la zia Dighei nel 2015 a Roma, dove lotta con ostinazione per ottenere una cittadinanza che dovrebbe legittimare un’esistenza già vissuta integralmente sul suolo italiano. L’ostacolo burocratico si trasfigura in simbolo, diventando il perno intorno a cui ruota un’intera riflessione sulla legittimità del sentirsi “parte di” in un Paese ancora segnato da rigidità identitarie.


 


     
Il manoscritto alterna il tono evocativo del ricordo al respiro largo del romanzo storico. Il passato coloniale, l’eco del sopruso e della dislocazione si riflettono sulle generazioni successive come un’ombra lunga. La “signora Meraviglia”, nome domestico e affettuoso per designare la cittadinanza italiana, incarna una chimera moderna: promessa di appartenenza e, al tempo stesso, strumento di esclusione. Anglana, con penna affilata e sensibilità antropologica, smonta il meccanismo kafkiano dell’amministrazione, rivelando il volto surreale di un sistema che trasforma la normalità in odissea.
     
Attraverso uno stile che coniuga il dettaglio sensibile con un ritmo incalzante, l’autrice costruisce un universo popolato da figure femminili potenti e fragili, sospese tra mondi. Abebech, prigioniera dei propri demoni, affonda lentamente nell’indicibile, mentre Wezero Dinkinesh – colei che dà il titolo al libro – assume le sembianze della liberazione, del riscatto e della memoria che guarisce. Dighei, invece, si batte in una quotidianità che diventa epica, tragicamente comica e profondamente umana.
Nel corso della narrazione, l’identità si rivela come esperienza stratificata, mai definitiva. Ogni protagonista, compresa la stessa Saba, si confronta con il desiderio di definirsi senza essere definita. In tal senso, il romanzo si fa vera pedagogia della complessità, invitando il lettore a rifiutare visioni semplicistiche, a rinunciare all’ossessione classificatoria, a riconoscere la dignità dell’ibrido.
     
La signora Meraviglia (Sellerio) è molto più di un romanzo sull’emigrazione o sul diritto: è un’opera sulla presenza, sull’eredità, sulla possibilità di trasmutare il dolore in consapevolezza. Un libro che ride e piange, che canta e sussurra, che evoca le voci degli antenati e accoglie i fantasmi con tenerezza. Una prova letteraria matura, coraggiosa, necessaria.


 

Intervista all’autrice

Già nella dozzina dello Strega al suo esordio nella narrativa. Come sta vivendo questo momento?
“Dozzina rimanda a quel magnifico gruppo che aveva doti mistiche e diffondeva il verbo. Non siamo certo apostoli, e davvero non in odore di santità, almeno per quanto mi riguarda, ma l’idea di essere tra i selezionati di quest’anno mi fa vibrare di una gioiosa responsabilità. 
La signora Meraviglia, il mio romanzo, ha del resto vita propria, è avventurosa, ha sete d’ascolto e decide lei dove andare. Io la seguo, grata, l’accompagno dove vuole, le faccio da megafono, consapevole di dover essere all’altezza dei suoi messaggi universali. “Mettersi a servizio” dell’arte che ci fa visita, che ci sceglie come canali di trasmissione, in un atteggiamento di restituzione.  Ecco forse, di nuovo con un sorriso, il senso della dozzina”.  

Si tratta di un memoir molto fedele e autobiografico o ha giocato anche con la fiction? 
“Avevo materiale vivo per le mani, testimonianze dirette e resoconti dettagliati, preziosi per una ricostruzione fedele di una storia complessa, che poggiava su di un arco temporale vasto e una geografia con più nazioni. Ho anche lavorato attingendo dagli archivi storici per una base solida del racconto.  
Ma poi esiste quel momento specialissimo di sintesi in cui la razionalità e l’immaginazione decidono di abbracciarsi e di guidare insieme il cantiere della scrittura. È lì che la realtà si allarga, è tutto perfino più autentico, ogni episodio raccontato, anche quando non necessariamente accaduto. Questa è stata la chiave anche per poter includere in modo organico e funzionale l’importante parte magico-esoterica nel romanzo”. 

Al di là della letteratura, qual è la sua percezione del rapporto tra Occidente e continente africano? C’è una reale sensibilità nei confronti dell’argomento migratorio e delle sue criticità? 
“Perché costantemente porre l’accento sull’atteggiamento assistenzialista nel rapporto con il continente africano? È un vizio di forma e una barriera psicologica dell’Occidente. Quanti libri, quante opere d’arte, quante conferenze ancora dovremmo realizzare per restituire dignità ai popoli africani e alla profondità delle loro culture, per squarciare quel velo paternalista e illuminare così storie piuttosto che narrazioni? 
Per quanto riguarda le migrazioni, un tempo gli spostamenti dei popoli avevano contorni epici, i migranti erano eroi nella cultura classica, cultura di cui si rivendicano le radici. Oggi, chi abbandona tutto per una nuova vita è invece percepito da questa parte del mondo come un fastidio, una malattia delle società, le cellule impazzite nel corpo del pianeta. C’è incredibilmente ancora tanto lavoro da fare”.