Coronavirus,Celleno: l'incantevole borgo che ha ammaliato l'artista Castellani
La cittadina di Celleno è ora balzata agli onori della cronaca nazionale per il focolaio del Coronavirus che si è insediato all’interno della casa di riposo Villa Noemi. Con oltre 40 casi di positività su un totale di 1300 abitanti è il quarto centro da “zona rossa” nella Regione Lazio, dopo Fondi, Nerola e Contigliano. Il governatore Nicola Zingaretti ha firmato in questi giorni l’ordinanza di chiusura totale fino al 24 aprile. E così anche la Tuscia ha la sua Codogno, ma i residenti di questa suggestiva località, sita sulla direttrice Viterbo-Civita di Bagnoregio, chiamati cellenesi – notoriamente tenaci e coraggiosi – sono pronti ad affrontare anche l’ennesimo inasprimento emanato dalle autorità. “Rispetteremo quanto ci viene chiesto e presto ne usciremo”, sussurrano in paese.
Tuttavia, quando sarà finito l’incubo, è bene ricordarsi di Celleno non per questa drammatica fatalità, ma per l’incredibile fascino del suo “borgo fantasma”, dislocato nella zona più “remota” e ormai spopolata a causa del dissesto idrogeologico (come spesso avvenuto in altre piccole realtà dell’Etruria) tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.
E’ bene sapere che così come esiste una Bergamo alta ed una Bergamo bassa c’è anche una Celleno nuova e una Celleno vecchia. Nella parte antica sorge un Castello, anche detto, appunto, “borgo fantasma”, straordinario esempio di poderosa fortezza con una cortina difensiva di oltre dieci metri di mura. Protagonista dapprima dell’eterna rivalità tra Guelfi e Ghibellini, poi possedimento della famiglia Gatti ed infine dimora del feudo romano degli Orsini. Dagli anni Settanta fino a poco tempo fa residenza del Maestro Enrico Castellani.
La Tuscia, nei secoli passati, ha dato i natali a personaggi illustri che hanno lasciato un segno indelebile nella storia delle arti, delle scienze e della cristianità. A Viterbo - tanto per citarne alcuni – lo scultore Pio Fedi, i pittori Antonio del Massaro detto il Pastura, Giovanni Francesco Romanelli, Francesco d’Antonio detto il Balletta, il matematico Luigi Fantappié e la tanto amata Santa Rosa. A Bagnoregio il Doctor Seraphicus San Bonaventura e il saggista Bonaventura Tecchi. E ancora, Santa Cristina a Bolsena, Vincenzo Cardarelli a Tarquinia, Filoteo Alberini (l’inventore del cinematografo) a Orte e via discorrendo. L’elenco sarebbe infinito.
Altri, come Wolfgang Goethe o Salvador Dali’, hanno desiderato visitarla, e molti invece (come Castellani) hanno preferito stabilirvisi, evidentemente folgorati sulla via di Damasco. I potenti Farnese a Caprarola, Valentano, Ischia di Castro etc., il fratello di Napoleone, Luciano, a Canino, Balthus a Grotte Santo Stefano, Federico Fellini nel capoluogo (Viterbo), Juan Rodolfo Wilcock a Lubriano, Luigi Pirandello a Soriano nel Cimino e Pier Paolo Pasolini a Orte e Chia.
Castellani, nato a Castelmassa il 4 agosto 1930, in provincia di Rovigo, è oggi considerato una delle figure di maggior rilievo dell’arte europea della seconda metà del Novecento. Dopo un breve soggiorno in Belgio per dedicarsi agli studi torna in Italia, a Milano, per formare un sodalizio artistico con Piero Manzoni. L’introverso Enrico e l’esuberante Piero. Insieme fondano la rivista Azimuth e poco dopo si aggiunge alla coppia un altro importante pittore, il brianzolo Agostino Bonalumi.
Biennale di Venezia, MoMa di New York, Biennale di San Paolo, Solomon Guggenheim, Milano, Varsavia, Amsterdam, Fondazione Prada, Parigi, Mosca, Londra, Roma, Bruxelles, Napoli, Seul. Esposizioni personali e collettive in ogni angolo della Terra. Il 13 ottobre del 2010 riceve il “Premio Imperiale per la pittura”, uno dei più prestigiosi riconoscimenti a livello mondiale. A consegnarglielo il Principe Hitachi, Patrono Onorario della Japan Art Association. Lo stile di Castellani è tanto innovativo quanto unico. Non usa né pennelli né colori, ma tele monocrome, luce e creatività. E’ infatti il precursore di una tecnica particolare atta a creare effetti sorprendenti di luci e ombre in sincronia con l’inclinazione della sorgente luminosa. Una magia visionaria che lo ha reso uno dei protagonisti della sua rivoluzionaria generazione.
Nell’aprile del 1880 – come ci ricorda Roberto Tassi - Claude Monet ricevette a Vétheauil, un paese sulla riva destra della Senna dove abitava in quel tempo, la visita del giornalista Emile Taboureux che doveva fargli un’intervista per “La Vie Moderne”. Quando l’intervistatore chiese di vedere l’atelier, Monet rispose: “Mon atelier! Mais je n’ai jamais eu d’atelier, et je ne comprends pas qu’on s’enferme dans une chamber”, e poi, indicando con un gesto la Senna e la campagna: “Voilà mon atelier”. In questo gesto e in questa frase è contenuta tutta la verità della sua opera.
Questo soltanto per dire che ciò che la Senna e la campagna furono per Claude Monet Celleno lo è stato per Enrico Castellani. Un binomio straordinario, un amore mai sopito fino al giorno della sua scomparsa (il 1 dicembre 2017), che ha dato “frutti” di incommensurabile valore. Oggi, le sue tele estroflesse, conosciute come superfici bianche, blu o rosse, sono considerate dagli esperti del settore tra le più quotate opere presenti sul mercato galleristico e museale internazionale. Non a caso la famosa Sotheby’s di Londra ha battuta alla cifra record di 6 milioni di sterline, il 17 ottobre 2014, la sua “Superficie bianca” del 1967, superando il record dell’anno precedente di 2 milioni e 800 mila sterline per un’altra “Superficie bianca” del ’66. Milioni di euro per i capolavori (soprattutto quelli prodotti a cavallo tra i Sessanta e i Settanta) di colui che scelse la “piccola” Celleno e il suo “borgo fantasma” per lavorare, creare, concepire e trascorrervi gli anni più belli della sua esistenza. Quando la fase di severo lockdown giungerà al termine val veramente la pena farci un salto.
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