Culture
“Dove la storia finisce”, nuovo romanzo di Alessandro Piperno
“Dove la storia finisce” di Alessandro Piperno (Mondadori – ottobre 2016)
Ogni lunedì "Giuditta’s files", newsletter di Daniele Capezzone, consiglia un libro italiano. Ecco “Dove la storia finisce” di Alessandro Piperno (Mondadori – ottobre 2016)
E’ uscito da pochi giorni per Mondadori “Dove la storia finisce”, il nuovo romanzo di Alessandro Piperno, a ormai undici anni dall’esordio (“Con le peggiori intenzioni”), e a quattro anni dal romanzo in due parti (“Persecuzione” e “Inseparabili”) tutto centrato sulle tormentate vicende dei Pontecorvo.
Siamo davanti a una doppia sorpresa, in questo nuovo pregevolissimo lavoro. Non solo per il finale (che ovviamente non svelo), in cui la Storia (con la maiuscola: è una tragedia) irrompe nel labirinto delle piccole storie di una famiglia, tra protagonisti fragili e disorientati, come vedremo. Ma soprattutto per la scelta stilistica di Piperno, che stavolta (conclusione a parte) sceglie colori più tenui, direi proprio autunnali, non cerca il colpo a sensazione, e si curva empaticamente sui personaggi, li accompagna negli “stress-test” che la vita impone a ciascuno di loro.
La galleria umana costruita dall’autore è ricca di sfumature. Il padre Matteo, sopra i cinquanta, con quattro matrimoni, una vita tuttora scombinata, debiti, fughe all’estero, e una propensione a non prendere le cose sul serio, decide di tornare a Roma. Il suo ritorno ha il potere di mettere in crisi gli equilibri - evidentemente già fragilissimi - che le altre figure del romanzo si erano faticosamente costruiti. Il figlio Giorgio, che ha avuto successo e che ora rifiuta l’idea stessa di avere di nuovo a che fare con il padre; la moglie Federica (verso cui Piperno ha un evidente occhio di riguardo) che invece spera ancora, vorrebbe armonia per sé e per gli altri, si dedica penosamente a tentare di ricucire ciò che è inevitabilmente stracciato e non più “suturabile”, e – in ultima analisi – può solo constatare lo sfascio; l’altra figlia Martina che, a dispetto del suo matrimonio con Lorenzo, vive una tormentata attrazione omosessuale verso un’antica compagna di scuola (sorella del marito, peraltro).
Un materiale che potrebbe prestarsi o a drammoni iper-emotivi o a esiti banali viene invece usato da Piperno per costruire un’architettura originalissima, in cui trovano spazio elementi di riflessione acuta sui nostri tempi. L’età intorno ai quaranta: tempo che dovrebbe essere di consapevolezza, e invece si rivela carico di fragilità e di propensione alla commozione. L’immaturità (specie maschile, ahinoi) che produce incapacità di ascoltare e capire gli altri, e una patetica ricerca di “gadget” (tra giochi, playstation e distrazioni inutili e superficiali). La scoperta di come le cose cambino repentinamente: i sentimenti svaniscono, le situazioni mutano e ci mutano. E soprattutto, la precarietà degli equilibri che ci siamo costruiti, o che crediamo di aver costruito: basta poco per far saltare tutto, ed è lo specchio di quanto sia leggero il trucco con cui avevamo creduto di mascherare e attenuare i problemi. E, per sovrammercato, l’arrivo improvviso e inappellabile della vecchiaia, o dei suoi primi riconoscibilissimi segni.
Accanto a questa parte più psicologica, ci sono altri due piani, che Piperno maneggia senza moralismo, senza gridare, senza giudicare. Da un lato, una fotografia “sociologica” di una middle-class romana convenzionale, conformista, spesso tutta in qualche modo “imparentata” e – scrive felicemente l’autore – “compromessa”. Piperno non punta il dito, semmai descrive e comprende: ma l’istantanea non è per questo meno dolorosa. Dall’altro, anche qui senza clamori e senza tirate moraleggianti, la descrizione di un contesto italiano in cui non possono esserci grandi e vitali conflitti: tutto è piccolo, irrisolto, non c’è spazio per altro se non per il disorientamento e la sfasatura esistenziale di ciascuno; c’è un senso di asfissia, e la sensazione che questo possa essere solo un luogo di sentimenti incompiuti, ambizioni sbagliate, armonie inevitabilmente perdute.
Resta la fuga, l’uscita, o almeno la ricerca di una fuga e di un’uscita. E forse proprio un tragico fattore esterno (la Storia) può aprire una pagina nuova, o costringerci a provare a farlo.