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Culture
La pruderie arriva nella società a ondate cicliche

Pruderie — La parola, presa dal francese, significa secondo il dizionario Treccani: “Ostentazione di eccessivo pudore, spesso ipocrita… di affettata intransigenza morale nei confronti di parole, situazioni e comportamenti ritenuti capaci di offendere un senso esagerato della decenza”.

La pruderie arriva nella società a ondate cicliche. Il caso più studiato, di stampo puritano, è quello dell’Inghilterra vittoriana—la Regina Vittoria regnò tra il 1837 e il 1901—quando le persone perbene trovavano disdicevole parlare della “gamba” di un tavolo o di un pianoforte perché poteva far venire pensieri indelicati. Nelle conversazioni di politesse, infatti, sia i tavoli sia le persone avevano “arti”, non “gambe”. Era preferito riferirsi ai tori come “vacche maschi” e furono stampate edizioni “ripulite dalle male parole” di Shakespeare e della Bibbia. La crinolina, una struttura a gabbia che gonfiava a dismisura le gonne in uso dalle dame abbienti, aveva anche una funzione di “social distancing”—non per evitare i contagi, ma per tenere a distanza gli uomini e i loro insani desideri.

La lunga epoca vittoriana fu un periodo di straordinaria trasformazione della società britannica. La popolazione più che raddoppiò, il reddito pro capite crebbe del 50%, le ferrovie si allargarono ad ogni angolo del Paese e l’Impero ad ogni angolo del Mondo. La Chiesa Anglicana perse molto del suo “monopolio teologico”; nuovi pensatori e scrittori—Charles Darwin, John Stuart Mill, George Eliot, Charles Dickens, l’immigrante Karl Marx—turbarono altre certezze ancora. Emerse prepotente la middle class, strappando ampie fette di potere all’aristocrazia tradizionale.

Con i grandi cambiamenti arrivarono grandi incertezze e il fenomeno della pruderie serviva a imporre nuove regole di comportamento sociale. In un curioso rovesciamento, la storia pare ora ripetersi. I crescenti eccessi del politically correct somigliano molto alla pruderie vittoriana nella pretesa di obbligare il cambiamento della realtà attraverso l’aggiustamento della lingua.

Ne è una recente vittima J.K. Rowling, la creatrice di Harry Potter. Criticando il titolo di un articolo su “le persone che hanno le mestruazioni”, ha osservato con un Tweet acido che “Sono certa che una volta c’era una parola per quelle persone. Aiutatemi a ricordare. Wumben? Wimpund? Woomud?” La parola che cercava era, ovviamente, “women”, ed è lì che è cascato l’asino. Far intendere che solo le donne abbiano le mestruazioni lascia fuori le “trans”, un’impostazione da criminalizzare con il solito putiferio sui social.

Rispetto all’epoca vittoriana, l’orientamento “morale” è ribaltato. La Rowling—pure una “liberata”— viene criticata per l’insufficienza del suo radicalismo in difesa di una minoranza assolutamente esigua nei fatti, ma dall’alto valore simbolico. È un caso tra molti. Con l’uso vittoriano ha in comune una sorta di credenza nel potere magico del linguaggio. Se insistiamo nel dirlo—o nel caso dei sudditi della Regina Vittoria, nel non dirlo—allora forse diventerà vero. L’Occidente vive da un paio di decenni una fase di grandi incertezze. Ci spinge verso una nuova pruderie, verso un drammatico irrigidimento della lingua di ogni giorno. Ci renderà meglio, o solo più ipocriti?

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