"Lavoro di vivere" a teatro
Teatrovivo. Un’opera contemporanea sull’esistenza e sul quotidiano, immersa in una notte che dalla terra arriva oltre il cielo
di Lucilla Noviello
Scritta da Hanoch Levin, autore israeliano morto prematuramente un paio di decenni fa, padre di opere teatrali molto note negli Stati Uniti e in Francia ma poco rappresentate in Italia, Il lavoro di vivere – in scena al Piccolo Eliseo di Roma fino al 5 marzo con la regia di Andrèe Ruth Shammah e interpretato da Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto, e Massimo Loreto - è la rappresentazione del quotidiano rapporto amoroso di una coppia di mezza età – sulla carta – oppressa dal senso di un’esistenza priva di senso, che si rifugia nei sogni semplici dell’acquisto di una cappellino estivo e del piacere fisico di un corpo che però non ubbidisce più alla volontà del pensiero.
Cinica e contemporaneamente poetica; sovra reale e insieme spietatamente cinica, la piece di Hanoch Levin risulta poco elaborata dalla regia di Andrèe Ruth Shammah che lascia parlare i protagonisti - una donna, suo marito e un amico di lui che improvvisamente una notte arriva nella loro casa a manifestare la sua solitudine, provocando ilarità involontaria in quanto personaggio ma volontariamente da parte dell’autore – dichiarando come l’amore – un tempo sorretto dalla passione – sia diventato nella loro vita e probabilmente in genere, il lato comico di sé stesso nella migliore delle ipotesi e il desiderio di scappare alla ricerca di un altro sé – di un’altra vita felice - nella sincera ipotesi finale.
Ma un senso che dia scopo all’esistenza non esiste, neppure nel religioso – almeno per cultura ed educazione – protagonista di quest’opera né sa trovarlo sua moglie che vorrebbe restare ancorata alla conseguenza logica delle azioni semplici, per cui ad una piccola causa segue sempre un piccolo e facile effetto, e così via. Invece c’è il dolore e la morte sopra ogni cosa: sopra le risate e sopra le domande. Una morte che livella ogni cosa e che non obbliga - nuovamente – la regia, a trovare qualche soluzione più originale – almeno di movimento scenico – in un’opera che procede da sola, perché il suo testo, i suoi dialoghi, costruiscono da soli il teatro. Eppure – pur essendo i tre attori bravi, ricchi di esperienza, felicemente padroni della scena – una regia che sorprendesse un poco, che portasse gli attori almeno un poco sopra le righe del loro recitato verbo – così come il verbo stesso suggerisce – ci avrebbe condotto in quel luogo sovrastrutturale che forse lo stesso Hanoch Levin evocava per noi.
Il lavoro di vivere di Hanoch Levin. Regia di Andrée Ruth Shammah. Con Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto. Al Teatro Piccolo Eliseo di Roma Fino al 5 marzo e poi in tournè in tutta Italia.