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Culture
Milano, in mostra il Rinascimento sublime di Antonello da Messina
Annunziata, Galleria Regionale di Palermo, 1476

di Raffaello Carabini

 

Chi raffigura veramente il magnifico “Ritratto di ignoto” che il Presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta avrebbe voluto diventasse una sorta di “Gioconda” della sua isola, emblema simbolico dell’uomo siciliano? Era uno sconosciuto pescatore come riportava, seguendo una tradizione consolidata, lo scrittore Vincenzo Consolo? Oppure si trattava – la tesi più accreditata – di tale Francesco Vitale, vescovo di Cefalù, come credono gli studiosi sulla scia del grande critico Roberto Longhi? Oppure ancora di un arcigno barone tanto ossessionato dal sesso da far rappresentare un organo femminile stilizzato nel panneggio della camicia? O persino una sorta di immagine maligna – Vittorio Sgarbi lo volle nella sua celebre mostra torinese “Il Male” del 2010 – che ebbe addirittura 15 tagli sulla superficie per esorcizzarla?

Il dubbio è aperto. Di certo l’ex sportello di un mobiletto da farmacia è l’opera più celebre – insieme alla sua icona per eccellenza, l’“Annunziata” dal velo azzurro – di Antonio de Antoni, ossia Antonellus Messaneus come si firmava, e rappresenta uno dei culmini pittorici di sempre nell’arte del ritratto, con i suoi occhi ammaliatori, il sorriso beffardo e il volto di “maschio verace”.

Sarà possibile ammirarlo nell’importante rassegna Antonello da Messina. Dentro la pittura aperta al Palazzo Reale di Milano fino al 2 giugno, che raccoglie 19 delle 35 opere certamente autografe del maestro del Quattrocento italiano. (Tra le altre, di attribuzione meno certa, ricordiamo almeno la “Vergine leggente” o forse “Sant’Eulalia”, recente acquisizione del Museo Poldi Pezzoli, frutto di una generosa donazione,) Ne sono rimaste pochissime perché la città dello Stretto ha subito nei cinque secoli scorsi ogni sorta di calamità naturali, terremoti e maremoti compresi, tanto che la stessa tomba del maestro tracimò in acqua. E questo nonostante Antonello sia stato attivo non solo nella sua città, ma anche a Napoli, dove si formò, e Venezia, dove dipinse quella “Pala di San Cassiano”, una “de le più eczellenti opere di penelo che habia Italia e fuor d’Italia”, destinata – nel suo combinare le novità coloristiche e compositive di Giovanni Bellini con le influenze fiamminghe apprese a Napoli – a diventare un riferimento del Rinascimento, prima in Italia e poi in Europa, grazie al lavoro di Tiziano, che da lì, come del resto i vari Giorgione, Alvise Vivarini, Cima da Conegliano, prese numerosi spunti.

Guida del percorso milanese il grande storico dell’arte Giovan Battista Cavalcaselle: 28 fogli dei suoi taccuini illustrano come, attorno al 1870, riscoprì un genio dimenticato. E come seppe appuntare, dimenticando la già disponibile fotografia, caratteristiche, dettagli, invenzioni del maestro con un’attenzione e una profondità uniche, che lo portarono a realizzare il primo catalogo della sua produzione superstite.

Le venti opere esposte, in un allestimento che sa convogliare l’attenzione del visitatore verso le piccole tavole pure nella spaziosità delle sale, sono capolavori assoluti, sia i ritratti di santi che quelli di uomini, sia il sublime “Ecce homo” piangente e sofferente, immagine cara ad Antonello, sia la rovinatissima – da un disgraziato restauro – “Pietà” in cui il Cristo “si è letteralmente fatto carne e sangue”. Sia ovviamente l’“Annunziata” (concessa in extremis in cambio di varie tele sulla ritrattistica appartenenti al Museo del 900 e destinate a una futura mostra palermitana), prima raffigurazione dell’ambasciata divina senza la presenza fisica dell’angelo, che però vive nel perfetto plot narrativo, dentro l’animo della ragazza siciliana in mantellina azzurra – le donne la indossavano nera – così come nell’alito di vento che muove le pagine del libro.  

Antonello fu piuttosto lento nella produzione, che, grazie anche all’acquisizione dell’uso della pittura a olio, lo portava a stendere numerosi strati sulle tavole di legno, spesso di dimenzioni ridotte: dal gesso all’imprimitura di colla, dalla biacca su cui tratteggiare il finissimo disegno (di abilità miniaturistica) alle diverse stesure della tempera, che utilizzò in particolari misture all’uovo, fino alle velature con gli oli colorati per ottenere gli effetti luminosi e l’incarnato naturale.

Ritornato a Messina, dopo aver rinunciato a un prestigioso incarico alla corte di Milano, morì non ancora cinquantenne, nel 1479. Dispose, in un testamento, come sua abitudine pignolissimo, vari lasciti alla moglie, alle figlie, persino ai genitori, e l’affrancamento della serva etiope, mentre nominò erede universale il devoto figlio Jacobello, pittore che ne continuò la tradizione, dividendo la bottega paterna con i cugini e portando a termine le opere incompiute del padre. Il suo capolavoro, la “Madonna con Bambino” che chiude la mostra, porta la celebre firma “mi dipinse Giacomo, figlio di un pittore non umano”. 

 

Antonello da Messina. Dentro la pittura

Palazzo Reale – piazza del Duomo n.6, Milano

fino al 2 giugno

orari: lunedì 14,30/20; martedì, mercoledì, venerdì, domenica 9,30/19,30; giovedì e sabato 9.30/22,30

biglietti € 14; ridotti € 12; ridotto bambini 6/14 anni € 6

catalogo edizioni Skira

info tel. 0292897755; www.mostraantonello.it

 

 

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