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Culture
Pupi Avati ad Affari: "Il diavolo è il presente"

di Oriana Maerini

Il maestro amato dagli italiani che ha attraversato tutti i generi cinematografici e creato il “Gotico Padano” continua a seguire il fil rouge del mistero che percorre ciclicamente la sua carriera. Lo fa  con “Il signor Diavolo” il suo ultimo film che uscirà nelle sale italiane il 22 agosto, distribuito da 01 Distribution. Tratto dal suo omonimo romanzo la pellicola  non è solo un ritorno di genere, ma una riscrittura filmica di una geografia a lui famigliare perché è ambientato negli anni 50 fra Comacchio e le Valli del Delta del Po. Una terra di grande atmosfera dove l’acqua spesso si confonde con la terraferma, la nebbia regna sovrana e le suggestioni creano paura e generano incubi. “Il Signor Diavolo” racconta del processo sull’omicidio di Emilio, un adolescente considerato indemoniato dalla fantasia popolare, da parte di un suo coetaneo Carlo per vendicare la morte del suo miglior amico Paolino avvenuta dopo la profanazione di un’ostia consacrata. Dopo pellicole cult per gli amanti del genere come  Balsamus, l'uomo di Satana (1970), Thomas e gli indemoniati (1970), La casa dalle finestre che ridono (1976), Zeder e l’Arcano Incantatore, Avati continua ad affascinare il suo pubblico, tornando al cinema delle sue origini, con una storia nera legata al mistero della sua terra e alle leggende popolari dei contadini. Il regista bolognese  che a Roma ha trovato una terra d’azione confida ad Affari italiani il perché di questo di fiamma.

Con questo nuovo film è voluto tornare alle origini?

Ormai sono diventato quasi un conferenziere professionista. Mi invitano a parlare di cinema un po’ ovunque e sempre tra il pubblico ci sono giovani che fanno domande e mostrano il dvd de “La casa dalle finestre che ridono”.  E’ strano come un film che ho sempre considerato minore, che ho realizzato in fretta, quasi distrattamente, in periodo in cui avevo subito un disastro economico per il sequestro di Bordella, (per quel film fu condannato, in primo grado, per oscenità dal tribunale di Latina e poi assolto in appello) sia quello che più resiste nel tempo. Alcuni miei film di questo genere sono entrati prepotentemente nell’immaginario collettivo. Il plot del romanzo era molto cinematografico, con una storia piena di tensione, quindi ho deciso di trasportarlo al cinema come un omaggio a quella cultura rurale che è l’humus nel quale sono cresciuto trascorrendo la mia infanzia a casa dei miei nonni. L’ho ambientato negli Cinquanta, epoca in cui era ancora forte  l’influsso della favola contadina unita alla religiosità pre-conciliare. Un mix di superstizioni popolari e religiosità che ha generato una narrazione del fantastico tipicamente padano.

Il suo è un diavolo legato al territorio?

Si, questo tipo di progetto si propone di ricandidare il territorio rurale “emarginato”, lontano dalle culture del presente, come luogo di seduzione e fascinazione per raccogliere una storia dove c’è ancora il demonio. Perché il Diavolo che mi terrorizzava  da bambino attraverso le “fole” popolari da cui prendono spunto tutti i miei film horror e che adesso è stato cancellato da tutto e da tutti. Perfino nella Bibbia non lo citano più. Nemmeno il Papa parla più di Inferno. Un film che vuole evidenziare il territorio, come luogo deputato ancora a terrori “visibili ed invisibili”, che scavano nella parte più oscura della nostra anima. Racconto il Diavolo come somma, come sintesi del Male assoluto.

I critici Le riconoscono il pregio di aver creato il genere  “Gotico padano” al cinema.

Si è vero. Prima dei miei film al cinema gli unici  personaggi romagnoli erano solo figure comiche o grottesche. Io ho creato, negli anni 60, un genere adolescenziale attraverso film come Balsamus l’uomo di satana o la casa dalle finestre che ridono.  Era un cinema gotico, nero, un cinema di paura, un cinema pieno di suggestioni, di piacere. Adesso non lo fa più nessuno. Questo genere, tutto italiano,  anche se era un genere di tradizione più fantastica che di orrore è stato esportato nel mondo, come il western. Adesso ci si butta su commedie pigramente ancorate sul presente. Quindi sono tornato a raccontare una favola nera, veramente spaventosa.

Perché  in Italia non si fanno più film di genere?

Non più. Fino agli  anni Settanta e Ottanta ancora alcuni registi insistevano su questo genere con degli ottimi risultati anche a livelli internazionali poi il nostro cinema ha rinunciato ad esplorare territori fantasy per incancrenirsi nelle commedie realistiche, nei piccoli drammi famigliari, nell’intimismo quotidiano.  Io sono cresciuto, invece, con lo sguardo oltre Oceano dove si sono sempre praticati tutti i generi senza nessun imbarazzo: dal cinema storico e d’azione, passando per il musical, fino al fantastico. E’ come se i registi oggi avessero paura della creatività, di staccarsi dal presente.

Qual è il suo film horror al quale è più legato?

L’Arcano Incantatore che giudico il mio film di genere più compiuto e articolato. Non a caso Guglielmo del Toro lo ha inserito nella sua classifica dei horror più belli.

Come giudica l’horror d’oltre oceano che riscuote molto successo fra i giovani?

E’ un genere che si basa troppo sugli effetti speciali e le alte tecnologie a dispetto dell’atmosfera che scatena la vera paura. Sono film tecnicamente impeccabili fra freddi, appiattiti. Non serve troppa azione o sangue per spaventare il pubblico ma è necessaria la suspense, l’atmosfera misteriosa che si crea quando in situazioni normali improvvisamente accadono cose misteriose e inaspettate.

Dov’è oggi il Diavolo nella nostra società italiana?

Il Diavolo è nel presente. E’ nella gente che non ha passato, che non coltiva la cultura dei suoi antenati, che non conosce più le tradizioni, che non studia i classici. Diabolica è una classe dirigente pressapochista che vede solo il presente, che non è ancorata a radici e non ha prospettive a lungo termine.

Il suo rapporto con il soprannaturale è stato sempre importante…

Si io amo il passato e il mio rapporto con il soprannaturale e la morte è costante nella mia vita. Nella mia casa di Roma ho una parete tappezzata dalle foto di persone ha cui ho voluto bene che non ci sono più che chiamo “La parete degli angeli”. Tutte le sere li saluto e ci parlo e li ringrazio. Amo frequentare i cimiteri.

Quali sono i  peccati di Pupi Avati?

I peccati che confesso sono egoismo ed invidia. Mi considerano tutti un uomo molto generoso ma in realtà dono solo il superfluo. Il secondo peccato è più grave in quanto tossico perché non l’ho mai superato. Quando vedo i miei colleghi che vengono premiati non riesco a gioire dei loro successi. Mi sento più vicino ai perdenti, agli sconfitti che considero degli eroi. Forse perché mi sento anch’io un perdente per non essere riuscito a realizzare il film della mia vita. L’opera che giustifica l’investimento che ho portato avanti nelle mia vita da 45 anni nella mia vita. Ho realizzato tante pellicole ma non il Cinema!

A che punto è il suo progetto su Dante?

E’ un progetto al quale lavoro da vent’anni e spero che Rai Cinema mi permetta di portarlo a termine. E’ un film che vuole omaggiare  Dante, in occasione del settimo centenario della morte del Sommo Poeta, nel 2021. Per la stesura della sceneggiatura mi sono ispirato al “Trattatello in laude di Dante” scritto da Boccaccio. Sto scrivendo la sceneggiatura con la consulenza dei più importanti dantisti italiani.

Il suo rapporto con il cinema?

Molto intimo e parte sempre dalla scrittura. Uso il cinema per raccontare la mia visione del mondo che è sempre diversa. Per questo mi sento a disagio quando mi capita di rivedere un mio vecchio film: assomiglia ad un me che non esiste più.  Il mio cinema è totalmente autobiografico perché penso che siamo autorizzati a raccontare solo quello che conosciamo veramente, ovvero noi stessi.

Qual è il regista italiano che ama di più?

Federico Fellini al quale ero legato da profonda stima ed amicizia. Gli sono stato vicino fino alla fine quando il mondo del cinema lo aveva abbandonato e gli non permetteva più di realizzare le sue opere.

Cosa si aspetta da questo suo ultimo film?

Il Signor Diavolo è un tentativo di rigenerare un cinema italiano in cui ci sono sempre i soliti cast, dove non distingui un film dall’altro. Il cinema italiano non sta incassando più nulla, il box office è un bollettino di guerra. Come dire: una situazione disperata in cui solamente il signore delle tenebre può metterci coda e zampino e cavar fuori un miracolo.

Nel cast ci sono anche Cavina e Capolicchio, due attori del cult “La casa delle finestre che ridono. Forse un richiamo a quel film?

Cavina e Capolicchio hanno due ruoli minori in questo film che non richiama, se non nel genere e nel senso del sacro, La casa dalle finestre che ridono. Anche in questo mio ultimo film è presente la visione della religiosità pre-conciliare in cui la figura del religioso era vista come una presenza legata al soprannaturale e quindi dotata di poteri misteriosi.

I suoi figli hanno seguito le sue orme?

Si, uno ha avuto successo nel campo degli effetti speciali e lavora a Londra. Gli  altri due scrivono come me per il cinema  ma con grande difficoltà perché oggi è sempre più difficile realizzare film.

 

 

 

 

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