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Culture
Verbania, l’armonia tra uomo e natura in mostra sulle rive del lago Maggiore
Pietro Fragiacomo, Armonie verdi, 1920

di Raffaello Carabini

 

Nel suo Dizionario delle belle arti e del disegno il critico principe del 700 Francesco Milizia, alla voce “paesaggio”, affermava “chi non può essere pittore sia paesista, fruttista, fiorista: è meglio far qualcosa che niente”. Un giudizio non certo lusinghiero per la pittura che raffigura la natura, peraltro condiviso da personaggi illustri come Charles Baudelaire, che, nel 1859, oltre mezzo secolo dopo, scriveva “voglio ammettere che la scuola moderna di paesaggisti sia particolarmente solida e valida, ma nel trionfo e nel predominio di un genere inferiore, nel culto insipido della natura, non purificata né interpretata dall’immaginazione, io scorgo un segno manifesto di generale decadimento”.

Verrebbe da dire “da che pulpito…” se non stessimo per approdare alla grande stagione dell’impressionismo, che sdoganò definitivamente il paesaggio issandolo dalle sabbie mobili di una “pittura di genere” sì “istromento del bello” ma puro arricchimento della ben più alta pittura storica e mitologica, quando non banale e freddo ricordo da touriste.

Proprio la stagione italiana parallela e successiva a questo paradigmatico mutamento viene analizzata nella mostra “Armonie verdi”, allestita a Palazzo Viani Dugnani di Pallanza-Verbania nel Museo del Paesaggio, perfetto ospite fino al prossimo 30 settembre di una cinquantina di opere – proprie e della Fondazione Cariplo – che bene illustrano l’evoluzione della maniera di affrontare il paesaggio dai tempi della Scapigliatura di Daniele Ranzoni (il suggestivo “Bosco di Antoliva” è datato 1867) al chiarismo di Renato Vernizzi, di cui è in mostra un bel “Paesaggio” del 1953.

L’itinerario, tracciato senza enfasi né astrusità critica, ci fa attraversare anche il divisionismo e il naturalismo, la grande corrente del Novecento italiano e alcune esperienze di come venne superato. Tappe di un’evoluzione più radicale di quanto appare all’occhio incantato, che legge come l’equilibrio tra natura e uomo sia una sorta di pendolo variabile, in cui il dato visivo è volubile e inafferrabile quanto la sensibilità visionaria di chi lo rappresenta. E le suggestioni manzoniane della natura come stato d’animo sono il grande propulsore dello stesso realismo en plein air e trasformano ogni volta la veduta in un tuffo nell’io, che può essere concreto e solido come le linee squadrate del classicismo post-futurista oppure tenue e sfuggente come la precarietà avolumetrica del post Novecento.

Lo si ammira nelle opere di Francesco Gnecchi, Lorenzo Gignous, Emilio Gola, Mosè Bianchi, Carlo Fornara, Ottone Rosai, Filippo De Pisis, Arturo Tosi, Umberto Lilloni e degli altri protagonisti della mostra, tra cui citiamo per intensità emotiva Vittore Grubicy De Dragon e il suo “Il cimitero di Ganna”, l’evanescente luminosità della “Marina” di Guido Cinotti,  la solida irrealtà de “Il lago” di Mario Sironi e la poesia rarefatta del tardo Ardengo Soffici e della sua “Veduta serale del Poggio”.

 

Info mostra

Armonie verdi. Paesaggi dalla Scapigliatura al "Novecento"

Museo del Paesaggio – via Ruga n.44, Verbania

fino al 30 settembre 2018

orari: da martedì a venerdì 10/18; sabato, domenica e festivi 10/19

biglietti € 5; ridotti € 3 under 12 e over 65

info tel. 0323557116; 0323502254; segreteria@museodelpaesaggio.it

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