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Culture
Vittorio Sgarbi apre le sue “stanze segrete”
Sgarbi illustra le opere al Presidente della Regione Piemonte Chiamparino

Di Raffaello Carabini

La vulgata vuole che Vittorio Sgarbi possieda circa 2.000 opere, che traboccano nelle numerose stanze della sua abitazione a Ro Ferrarese. E che abbia rischiato più di una volta di ritrovarsi sul lastrico pur di ottenere un’opera, sempre, inevitabilmente, “immancabile”. Non solo da altri collezionisti oppure in asta, ma persino da musei americani, come il Ritratto di Francesco Righetti del Guercino acquistato dal Kimbell Art Museum di Forth Worth oppure la stupenda Santa Caterina da Siena con il Bambino del Sassoferrato dal Cleveland Museum of Art.

Chi – e quanti siamo! – ha la passione del collezionismo sa come la possibilità della bancarotta sia verosimile, perché quell’oggetto, proprio quello lì che non possediamo, quello lì che finalmente ci viene offerto, sia, sempre, inevitabilmente, quello di cui abbiamo bisogno, quello “necessario”. Costi quel che costi.

Però poi non c’è nulla di altrettanto impagabile che ammirare i propri “oggetti del desiderio” esposti in bella mostra dove li conserviamo oppure, e questo è il caso di Sgarbi, in un’altrettanto bella esposizione pubblica, che permette di ammirarli anche ad altri appassionati.

Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi è il titolo della rassegna che al Castello Visconteo Sforzesco di Novara, città che merita un viaggio già di suo, propone 120 opere della collezione Sgarbi-Cavallini (Cavallini è il cognome dell’amatissima madre del critico più famoso d’Italia, combattiva acquisitrice scomparsa due anni fa), che variano, come recita il sottotitolo Dal Rinascimento al neoclassico e oltre.

“La storia di una collezione si manifesta come un’avventura, una battuta di caccia, una forma di gioco, anche d’azzardo.” Così definisce la sua compulsione, che gli ha consentito di realizzare “una collezione idealmente senza confini, aperta a molte curiosità coincidenti con temi di studio sperimentati e altri del tutto nuovi, in una frenesia di ricerca favorita dalla sorprendente imprevedibilità del mercato”.

Fino al prossimo 14 gennaio, si potranno ammirare nella città piemontese una manciata di capolavori – ma diversi altri ne vanta la collezione, dei Vivarini, di Ierace, del Cicognara, di Ribera, numerose sculture -, a cominciare dai due citati e dalla sensuale Allegoria del tempo di Guido Cagnacci, che ci accoglie prosperosa sui manifesti e sul catalogo edito da Maggioli Musei.

Per continuare con la quieta Sacra famiglia di Nicolò Pisano, la raffaellesca Ascensione di Cristo del Garofalo, i due solidi ritratti di Lorenzo Lotto, la particolarissima Giuditta con la testa di Oloferne dello “sconosciuto” Pseudo Caroselli, l’erotica Cleopatra della Gentileschi (nella collezione Sgarbi fa il paio con quella di Cagnacci, che fu oggetto di una clamorosa polemica, quando i curatori, allievi dell’odiato Federico Zevi, neppure gliela chiesero per la grande rassegna di Rimini dedicata al sensuale maestro romagnolo del barocco). E si potrebbe continuare a lungo, con il Morazzone, i Pietro Liberi, Baciccio, il Cavalier d’Arpino odiato da Caravaggio, lo scenografico Fumiani, vari busti di marmo, i disegni ironici del Ghezzi, i Bison, le inusuali teste di cera della Manzolini, per terminare con il magnifico Cristo crocifisso di Gaetano Previati, drammaticamente sofferente nel nulla di un cielo pumbleo e ostile.

Un percorso cronologico, non tutto di altissimo livello come ogni volta succede a fronte di un’unica collezione, che disegna l’evoluzione dell’arte in Italia, alternando protagonisti e comprimari, ma sempre con un segno caratteristico, una concretezza espressiva, che rimandano alla fondamentale considerazione del grande critico australiano Robert Hughes, secondo cui “l’arte è sempre dettata dal talento, anima di ogni avventura poetica, ma se è realizzata senza abilità manuale è vana come una corrida senza toro”.

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