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Dublino ultimo ostacolo per un accordo Brexit

La Conferenza Tory di Manchester appena conclusa non ha tradito le attese. Ci si aspettava un’ultima magia del prestigiatore Boris Johnson, e così è stato. Dalle assise annuali del Partito conservatore è emersa, in sole quattro parole, la soluzione al più complesso dilemma politico della storia dell’Unione europea.

“Due confini, quattro anni”. Con questa formula, il Primo Ministro intende risolvere la questione backstop in Irlanda e mettere così la parola fine alla crisi Brexit. La dizione “due confini” significa che l’UK stabilirà una frontiera interna, tra Eire e Ulster, aperta al commercio tra le due sponde dell’isola d’Irlanda; e una frontiera esterna verso il mondo sottoposta a controlli doganali. La dizione “quattro anni” significa che per mantenere la frontiera tra Dublino e Belfast aperta, le sei contee britanniche dell’Ulster manterranno l’allineamento regolamentare con l’UE fino al 2025, assicurando la piena adesione agli standard europei in materia di agricoltura e alimenti nonché la libera circolazione delle merci. Poiché le 4 giurisdizioni costitutive del Regno Unito mantengono sistemi legali interni indipendenti, mentre l’Irlanda del Nord rimarrebbe nel mercato comune in Irlanda, il Regno Unito uscirebbe dall’Unione doganale e recupererebbe la libertà di stipulare trattati di libero commercio internazionali.

Nel presentare la sua proposta, Boris Johnson ha avvertito Bruxelles che se non sarà possibile raggiungere un accordo in tempo per la data Brexit del 31 ottobre, ciò rappresenterà "un fallimento politico", rimettendo in tal modo la palla nella metà campo europea, significando che Bruxelles rischia la responsabilità per un eventuale No Deal. Il Primo Ministro ha formalmente inviato la sua offerta in una lettera di quattro pagine al presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker. Johnson ha descritto il suo piano come un "compromesso equo e ragionevole", auspicando che ciò costituisca la base per "negoziati rapidi verso una soluzione", in modo che il Regno Unito possa lasciare l’UE in modo ordinato la notte di Halloween, fugando le streghe di una crisi costituzionale che ha scosso la coscienza collettiva del Regno Unito come mai prima. La proposta britannica elimina il backstop per il confine dal Withdrawal Agrement di Theresa May bocciato per 3 volte alla Camera dei Comuni. Il Cancelliere del Ducato di Lancaster (l’equivalente del Ministro per l’attuazione del programma di governo) Michael Gove ha dichiarato che il nuovo piano Brexit di Boris Johnson per risolvere l'enigma della frontiera in Irlanda del Nord "ha ottime possibilità di passare in Parlamento”. La leadership Tory è concorde nel ritenere che la soluzione del Primo Ministro risolve il problema: l'Irlanda del Nord rimane effettivamente legata alle regole del mercato unico europeo per le merci, ma uscirebbe dall'unione doganale con il resto del Regno Unito, salvaguardando l’integrità costituzionale britannica.

Secondo lo schema del Primo Ministro, l’accordo “frontiera aperta” dovrà essere approvato dall'Assemblea di Stormont, il Parlamento devoluto dell’Irlanda del Nord, attualmente sospeso, che voterà ogni quattro anni se mantenerlo o meno. Gove ha assicurato che esiste "una maggioranza solida" nei comuni per il programma del Primo Ministro. I lealisti nordirlandesi hanno approvato l'offerta di Boris Johnson all'Unione europea. La leader del DUP Arlene Foster ha dichiarato che si tratta di una soluzione seria e sensata e notato che "attribuisce al popolo dell'Irlanda del Nord un ruolo di controllo democratico che non ha finora avuto".

A far data dall’Accordo del Venerdi Santo del 1998, i check points stabiliti in risposta ai Troubles sono spariti e nessuno ne auspica il ritorno. Il confine terrestre irlandese di 300 miglia attraversa le città, costeggia i fiumi e divide persino le singole aziende agricole. La maggior parte dei circa 270 punti di attraversamento sono contrassegnati da un semplice cartello o da una linea bianca sulla strada. “Eppure”, nota amaro Liam Halligan, “la frontiera irlandese è stata cinicamente utilizzata nel tentativo di mettere a tacere il più grande esercizio di democrazia della storia britannica”.

L'Unione Europea ha segnalato di essere aperta alla posizione britannica, e d’altra parte Boris non si sarebbe esposto pubblicamente se non avesse già in tasca il consenso di Juncker, il quale, dal canto suo, non può permettersi di passare per il sabotatore dell'accordo di recesso.

Ma ora Bruxelles e Londra devono lavorare di sponda per superare l’ostacolo Leo Varadkar. Il Taoiseach rimane l’ultimo scoglio. Costretto dalla politica interna ad adottare un approccio massimalista e ultra-legalistico sul confine irlandese, Varadkar ha reso molto più probabile una Brexit senza accordo - un risultato che tuttavia farebbe danni incalcolabili all'economia irlandese. Ha anche gettato benzina sul focolare delle recuperate relazioni Regno Unito-Irlanda dopo il prezioso accordo di Belfast. Ma mentre Johnson ha avanzato proposte produttive e ragionevoli, Varadkar è andato all in sul no alla Brexit e non ha più spazio politico di manovra né per mettersi di traverso né per fare marcia indietro. Ora, dovranno essere i leader dell’UE a strappare il sì di Dublino all’accordo Johnson prima del Consiglio europeo del 17 ottobre. Servirà dunque ancora un’altra magia, ma non è chiaro chi è il prestigiatore a Bruxelles. All’UE manca proprio un Boris Johnson.

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