
Che fosse un banchiere esperto, lo si sapeva. Dopo tutto il vecchio leone don Emilio Botin, così come lo chiamano negli ambienti finanziari spagnoli, è riuscito a far galleggiare il proprio istituto nella terribile crisi che ha colpito le banche iberiche, riuscendo anche a mantenere il secondo posto nella classifica delle banche europee a maggior capitalizzazione.
Ricostruendo però le fasi, ma soprattutto i termini che hanno portato alla cessione di AntonVeneta, controllata di Abn Amro, al Montepaschi di Siena, si riesce a intravedere concretamente (la ricostruzione si basa su rivelazioni effettuate ai magistrati da alcune persone informate dei fatti), tutta l'abilità del settantaseienne banchiere, capace di scucire ad Mps oltre tre miliardi (3,5 per l'esattezza) di plusvalenza per una banca acquistata dal Santander solamente due mesi prima.
Secondo quanto raccontato da Alessandro Daffina (responsabile per l'Italia di Rothschild che agì da raccordo tra Santander e il Montepaschi nella compravendita della banca patavina) al nucleo valutario della Guardia di Finanza, il 9 marzo scorso, sarebbe stato lo stesso Botin ad imporre al presidente di Mps Giuseppe Mussari, l'assenza di una due diligence, processo investigativo che viene messo in atto per analizzare valore e condizioni di un'azienda, da parte di Mps nell'acquisto di Antonveneta. Clausola che, secondo quanto sta emergendo nelle ultime ore, sarebbe stata accettata senza problemi dal vertice di Siena, nonostante arrivassero dei segnali di allarme circa la solidità del business dalle prime linee del management.

Per la vendita della banca nordestina, l'advisor del Sch aveva contattato i francesi di Bnp-Paribas e del Credit Agricole, l'UniCredit di Alessandro Profumo e le altre italiane Ubi Banca e Montpaschi e la tedesca Deutsche Bank, ricevendo delle "risposte incoraggianti", ha riferito sempre Daffina, solamente da Siena e da Bnp.
Il prezzo minimo al quale Botin voleva vendere era di 9 miliardi di euro, già un affarone rispetto ai 10 a cui puntava, dato che la banca olandese Abn Amro, scalata dal Santander, aveva sborsato con un'Opa oltre 7,5 miliardi per sfilare a sua volta AntonVeneta alla Banca Popolare di Lodi.
D'accordo che a Siena avevano urgenza di convolare a nozze per restare ai vertici del sistema bancario italiano, in preda in quegli anni a una febbre da consolidamento, ma gli oltre 9 miliardi, lievitati poi per altri oneri a più di 10, corrispondono a oltre 20 volte i ricavi di quegli anni di AntonVeneta. Una cifra spropositata. E d'accordo, ancora, che Mussari è un avvocato penalista prestato al mondo del credito, poco avvezzo dunque, nonostante una gavetta alla guida della Fondazione Mps, ai numeri della finanza, ma comprare a scatola chiusa una banca per quelle cifre (oltretutto indebitandosi oltre misura), quando il mondo del credito stava cambiando sotto i colpi della crisi dei mutui subprime, rappresenta un'autentica pazzia. Molto più probabile dunque che Botin, desideroso di chiudere l'affare AntonVeneta-Interbanca, abbia fatto leva soprattutto su un imminente rilancio da parte dei francesi di Bnp, bluffando e spingendo Mussari ad accettare per non vedersi sfuggire l'occasione di crescere, mettendo le mani su un istituto ben capillarizzato nell'operoso Nordest, una delle aree più trainanti dell'economia italiana.
E qui sta il primo errore di gestione di Mussari. L'altro passo falso (per le casse di Mps) dell'ex presidente Mussari è stato quello di sborsare cash tutta la cifra per pagare AntonVeneta, senza proporre uno scambio azionario a Botin fra Mps e il Santander. Accordo che avrebbe sì messo in mano agli spagnoli una parte del capitale della banca senese, ma avrebbe limitato l'esborso di Rocca Salimbeni. Condizione che non avrebbe costretto poi Siena a dover ricorrere alla complessa finanza strutturata per rimediare agli errori di un passo fatto più lungo della gamba.