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Economia
Alitalia, paletto anti-esuberi. E' lo scaricabarile della politica

Nella tormentata e infinita “telenovela” Alitalia, il governo Conte-bis sembra tentato dallo scaricare la colpa sul commissario Giuseppe Leogrande, continuando a cercare fino all’ultimo di ignorare la realtà. Il Decreto Alitalia, che conferma il prestito “ponte” da 400 milioni di euro e modifica la procedura di amministrazione straordinaria per il trasferimento dei complessi aziendali, dopo gli emendamenti accolti prevede infatti che il commissario straordinario aggiorni periodicamente le commissioni parlamentari circa la situazione economico-finanziaria della compagnia e che nella stesura del programma di cessione debba “tenere conto dei livelli occupazionali e dell’unità operativa dei complessi aziendali”. 

Detta così, sembrerebbe un paletto “anti spezzatino” e “anti esuberi”, interpretazioni data anche dalle opposizioni in Parlamento, il che sarebbero pure due intenzioni nobilissime se non fosse che l’unico interlocutore industriale che si è fatto avanti dopo il tramonto dell’ipotesi Delta, Lufthansa, ha fatto più volte sapere di non essere interessato ad Alitalia se non dopo una pesante ristrutturazione, che portasse, come ha fatto sapere Atlantia in una memoria inviata alla Commissione Trasporti della Camera, alla chiusura delle rotte strutturalmente in perdita e ad un’integrazione a più ampio raggio dei rispettivi network, in particolar modo in Europa dove Alitalia soffre maggiormente la competizione delle compagnie aeree low cost. Cosa che avrebbe comportato una riduzione anche della flotta di Alitalia.

Mentre, come ha sottolineato Gianfranco Battisti, numero uno di Ferrovie dello Stato, la cordata Fs-Delta-Atlantia pur avendo contattato circa 30 soggetti finanziari a cui era stato proposto di partecipare al rilancio dell’ex compagnia di bandiera italiana (che ormai trasporta meno dell’8% dei passeggeri da e per l’Italia e dunque non può più dirsi “strategica”, se non per la classe politica italiana che da anni ne addossa i costi ai contribuenti tutti), non ha avuto alcun riscontro positivo. 

Ma se Alitalia così com’è e come il governo vorrebbe restasse non interessa a nessuno, che prospettive può avere e quanto può essere decisivo il fatto, peraltro sottolineato dal ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli (subentrato al predecessore Luigi Di Maio nella gestione dell’annosa vicenda), che il 31 maggio, finora considerata  data ultima per concludere l’operzione, in realtà non sia tale?

Per Alitalia, ha concesso il ministro “siamo in una strada stretta e in salita” e sul tappeto non resta “un grande range di scelte che la politica possa fare per risolvere il dossier”. In realtà di scelte sembrano restarne solo due, viste le premesse di cui sopra: o si trova il modo di suscitare interesse da parte di qualche soggetto, nonostante i paletti di cui sopra, o si va verso il fallimento (salvo non pensare all’ennesimo allungamento sine die dei termini che di fatto nasconderebbe una ri-nazionalizzazione della compagnia, sempre a carico dei contribuenti italiani).

Ciò nonostante Patuanelli cerca di ostentare un qualche ottimismo: nel decreto testé approvato il 31 maggio “è il termine dato al commissario per espletare la procedura di cessione ed è paragonabile al 31 ottobre del 2018”, spiega Patuanelli, che poi aggiunge: a Leogrande “non è stato dato un mandato in bianco, ma un mandato di risultato”. Per questo secondo il ministro “il commissario dovrà riprendere l’interlocuzione con Fs e Delta” e “avvalersi anche del piano industriale che il gruppo ferroviario ha predisposto” per “non buttare il lavoro fatto nei 18 mesi precedenti”. 

Ossia il lavoro che, per ammissione dello stesso numero uno di Fs, non ha prodotto alcun risultato, ma tant’è: per l’esponente grillino “deve esserci un’interlocuzione tra il commissario, Fs e Delta sul piano industriale. Dopodiché le scelte le farà il commissario e nel decreto è previsto che siano fatte”, potendo contare su disponibilità di cassa che, col prestito di 400 milioni e con la rimodulazione di interessi da parte del Mef che libera cassa per 150 milioni, dovrebbero consentire “alla compagnia di arrivare alla conclusione della procedura”. 

Mentre, ha concluso Patuanelli, sarebbe “assolutamente inutile” continuare a parlare di Atlantia, nel frattempo impegnata in ben altre discussioni e da parte sua convinta, come ribadito nella propria memoria, che la strada che Patuanelli spera possa portare ad un esito positivo semplicemente non esista. Il piano sviluppato da Delta per Alitalia, ha infatti spiegato la società del gruppo Benetton, “era standalone, di natura più commerciale che industriale, non in grado di garantire l’effettivo rilancio della compagnia nel lungo periodo” e pertanto avrebbe messo a rischio “le cospicue risorse pubbliche necessarie per perfezionare inizialmente l’operazione”, tanto più data “l’elevata probabilità di dover affrontare nuovi interventi di salvataggio nel medio termine”. 

Una obiezione che il mondo politico italiano non ha mai voluto e continua a non voler considerare, nonostante Alitalia continui a volare in rosso da anni e secondo lo stesso commissario nelle attuali condizioni bruci circa 300 milioni di euro l’anno. Numeri che forse Patuanelli spera ancora possano cambiare in meglio, ma che per ora hanno tenuto a distanza qualsiasi possibile acquirente. Sarà che forse il paletto “anti spezzatino” e “anti esuberi” sia solo un voler mettere nero su bianco da parte della politica che la responsabilità degli esuberi sara poi solo del commissario Leogrande e del nuovo direttore generali Gianluca Zeni? Sono in molti ora a pensarlo. 

Luca Spoldi

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