Eurocrisi/ La Grecia spegne la tv di Stato. Atene degradata a mercato “emergente”

Quando non vi sono regole (politiche), sui mercati prevale la legge del più forte. Non sfugge a questa semplice evidenza l’eurozona su cui, come testimonia l’allargarsi degli spread tra titoli sovrani tedeschi e “periferici”, continua anche stamane a pesare il dibattimento apertosi ieri davanti alla Corte Costituzionale tedesca relativo alla condotta della Bce (e in particolare al lancio del programma Omt). Una reazione che i mercati non sempre hanno quando a mettere in dubbio la legittimità della moneta unica o delle decisioni di Eurotower sono stati politici italiani, greci o spagnoli.
Eppure proprio oggi giunge l’ennesima clamorosa conferma che anche Bruxelles (e Berlino) può sbagliare: Msci, società nata come Morgan Stanley Capital International nel 1969 che nell’ormai lontano 2004 acquisì la rivale Barra Inc. trasformandosi in un colosso mondiale dedito alla creazione e aggiornamento di indici usati dall’industria del risparmio gestito come benchmark di riferimento per fondi comuni, sicav, etf e gestioni patrimoniali, ha infatti annunciato proprio oggi che il mercato azionario di Atene, che dal 2007 a oggi ha perso l’83% del proprio valore, è stato retrocesso allo status di “mercato emergente”.
Msci ha chiarito che la decisione è stata adottata perché la borsa greca “non è riuscita a soddisfare i criteri in materia di prestito titoli e di strumenti di prestito, di vendite allo scoperto e di trasferibilità” ma per molti la mossa (che pone Atene allo stesso piano di mercati come la Corea del Sud e Taiwan, piuttosto che il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, appena “promossi” dal precedente status di “mercato di frontiera” a cui è stato invece tagliato il Marocco) non fa altro che riflettere lo stato di crisi profonda in cui continua a versare la Grecia, il cui Pil lo scorso anno è crollato di un ulteriore 6,4% (mentre nei primi tre mesi di quest’anno ha segnato un calo di “solo” il 5,6% e l’Fmi prevede che chiuderà l’anno con un 4,2%), segnando così il sesto anno consecutivo di recessione.
Una recessione che la “ricetta” improntata solo alla repressione fiscale, fortemente voluta da Berlino e sposata da Bce e Fmi, ha certamente contribuito a peggiorare, come ammesso, ex post, dallo stesso Fmi. Al punto che ormai il governo greco non sembra sapere più dove sbattere la testa: dalla mezzanotte di ieri, ad esempio, Ert, la televisione pubblica greca, ha sospeso le trasmissioni mandando a casa circa 2.800 dipendenti. In teoria quella di Ert (un “buco nero” senza fine che presenta perdite attorno ai 300 milioni di euro l’anno) dovrebbe essere parte del programma di privatizzazioni concordato da Atene con la “troika” per abbattere i costi a carico dello Stato e rilanciare l’economia ellenica.
Ma ormai a credere alla possibilità di un rilancio che non si traduca in una distruzione di valore (o nel saccheggio di alcune risorse pubbliche a vantaggio di pochi gruppi privati) sembrano essere rimasti in pochi e già si annunciano nuovi scioperi in attesa che si definisca come e quanti lavoratori saranno riassorbiti dalla società privata che nascerà dalle ceneri di Ert. Per ora l’unica cosa certa è che le trasmissioni sono cessate, impoverendo il pluralismo (già modesto) del settore radiotelevisivo greco. Ma la cosa ai mercati non sembra preoccupare perché in fondo, anche se nessuno lo dirà mai in modo plateale, Atene non è Berlino.
Luca Spoldi