Il fatto che Atlantia abbia bocciato l’offerta di Cdp per Autostrade non deve trarre in inganni: la trattativa procede e continuerà anche nelle prossime settimane. Come riferiscono ad Affaritaliani.it alcune fonti fra le parti in gioco che seguono da vivino il dossier, la percezione è che alla fine si troverà un accordo per diversi ordini di motivi. In primo luogo, perché i Benetton, dopo la tragedia del Ponte Morandi, vogliono definitivamente affrancarsi da un business che è valso loro una montagna di denaro ma anche moltissime diatribe. Meglio chiudere qui e ripassare la palla ad altri soggetti, capitanati da Cassa Depositi e Prestiti.
Autostrade per l’Italia, d’altronde, è un’autentica gallina dalle uova d’oro e le concessioni dei 2.964,7 km complessivi scadranno nel 2038. C’è tutto il tempo per riuscire a svolgere lavori di ammodernamento e gestione e, al tempo stesso, continuare a staccarsi utili significativi. La disciplina del Full cost recovery esiste solo per il settore idrico (in pratica, la tariffa deve coprire integralmente tutti i costi di gestione), ma le Autostrade hanno ovviamente un meccanismo simile, anche perché altrimenti nessuno avrebbe convenienza a gestirle.
Terzo punto: il neo ministro "tecnico" Enrico Giovannini, che ha appena modificato il nome del suo dicastero inserendo anche il concetto di sostenibilità (Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile) ha ribadito l’urgenza di un’integrazione e di un ruolo della Cassa in Aspi. Senza contare che gli altri due attori dell’offerta, cioè il fondo australiano Macquarie e quello americano Blackstone, hanno sicuramente ancora qualche cartuccia da sparare per rilevare l’88% della società da Atlantia.
(Segue: le nuove valutazioni dell'asset Aspi)
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