Economia
Boeing, Lockheed, Raytheon e Leonardo. Chi guadagna con le tensioni Usa-Russia

I venti di guerra fanno bene ai gruppi della difesa a New York come in Europa
Volatilità in crescita a Milano, dove l'indice Ftse Mib IVI (implied volatility index) a 30 giorni sale dell'1,92% a seguito dell'assalto missilistico americano nella notte contro una base aerea militare siriana, della protesta subito arrivata da Mosca (che pure era stata avvisata dell'imminenza dell'attacco) e delle voci rilanciate da Fox News di navi da guerra russe che starebbero dirigendosi verso i cacciatorpedinieri statunitensi USS Ross e USS Porter che hanno lanciato stanotte i 59 missili Tomahawk contro la base di al-Shayrat.
Se una prova "muscolare" può servire a Donald Trump per rafforzare la sua popolarità interna, traballante dopo le sconfitte al Senato (col ritiro della riforma sanitaria che doveva abolire l'Obamacare) e di fronte alla magistratura (che ha giudicato incostituzionale il bando agli immigrati provenienti da paesi musulmani), tanto che non sarà un caso che oggi i Repubblicani abbiano deciso di forzare la mano cambiando le regole del gioco pur di superare l'ostruzionismo dei Democratici e convalidare così la nomina del giudice conservatore Neil Gorsuch alla Corte Suprema, il rischio che l'episodio danneggi le relazioni con Vladimir Putin che sembravano sulla via di un miglioramento proprio con l'elezione di Trump alla Casa Bianca è concreto.
Ma chi ci guadagna da uno stato di maggiore tensione tra le due ex "superpotenze" e più in generale da una maggiore tensione geopolitica (che riguarda evidentemente anche la Corea del Sud e la Cina)? A Wall Street in avvio di giornata i maggiori beneficiari sono stati i titoli della difesa come Boeing, Lockheed Martin e Raytheon (che produce il missile Tomahawk). A Piazza Affari, invece, Leonardo dopo un avvio in rosso ha chiuso in modesto rialzo (+0,3%) a 13,48 euro. I "venti di guerra" in Medio Oriente potrebbero infatti riportare attenzione sul gruppo italiano, tra i principali produttori di elicotteri e aerei da combattimento, attualmente impegnato anche nella gara per la selezione del futuro velivolo da addestramento avanzato della US Air Force ("T-X") per la quale il gruppo attraverso la controllata americana Leonardo DRS propone (da sola, dopo la rottura della partnership proprio con Raytheon) il sistema di addestramento integrato T-100, versione evoluta e adattata alle specifiche Usaf dell'addestratore M-346.
Beneficia della prospettiva di maggiori spese per il settore difesa anche la francese Thales, che chiude la giornata a 91,99 euro a Parigi, in crescita dell'1,05%. Thales, in joint ventures con Dcns (destinata a rilevare una quota del 12% di Stx France nell'ambito dell'accordo annunciato ieri dal ministero francese dell'Economia che ha accettato il passaggio del 48% della società che controlla i cantieri di Saint-Nazaire a Fincantieri e di un ulteriore 7% a Fondazione Cr Trieste), sta costruendo la prima delle previste due nuove portaerei britanniche classe Queen Elizabeth, sulla cui base si pensa possa essere costruita anche una nuova superportaerei francese.
Progetti che negli ultimi anni avevano visto un taglio dei budget che aveva fatto slittare l'entrata in servizio della prima portaerei britannica al 2020 e le possibile cancellazione della seconda, mentre da parte francese si è continuato a rinviare ogni decisione sino a ipotizzare l'eventuale acquisto della seconda portaerei britannica nel caso fosse stata commissionata ma poi non utilizzate e posta in vendita. Se invece ora il Mediterraneo tornasse ad essere un'area "turbolente" il destino di tali progetti potrebbe riprendere vigore. Senza particolari fremiti, invece, la giornata di Airbus Group (-0,02% a 72,5 euro a fine giornata a Parigi), nonostante il gruppo sia impegnato in programmi militari come l'Eurofighter Typhoon (747 ordini raccolti finora), o il trasporto A400M Atlas (178 ordini già raccolti), progetto quest'ultimo a cui avrebbe dovuto partecipare anche l'Italia che invece si chiamò fuori nel 2003 per motivi di politica industriale.
Luca Spoldi