Economia
Burgez, parla il fondatore Ciaruffoli dopo il fallimento: "Riparto da Trademarker. Dalla slice pizza al sushi: mai più panini a 15 euro"
Burgez cambia mano: il suo creatore, Simone Ciaruffoli, ci riprova con Trademarker. L’intervista





Simone Ciaruffoli
Burgez, Ciaruffoli ad Affari: "Mai più burger a 15 euro. Riparto con Trademarker: slice pizza e sushi to go a prezzi accessibili"
Burgez è nata per essere diversa. "La catena di hamburger più cattiva d’Italia", come amava definirsi, e con le campagne pubblicitarie fuori dagli schemi aveva centrato l’obiettivo. Oggi però la sua storia volta pagina: all’asta di fine agosto il marchio è stato acquistato da Mercato Srl, il gruppo che controlla Obicà Mozzarella Bar, per 1,3 milioni di euro.
La liquidazione giudiziale disposta dal Tribunale di Milano ha chiuso una fase segnata da debiti ben oltre i 30mila euro dichiarati, lasciando ancora diversi nodi da sciogliere. Ma mentre il marchio passa di mano, il suo fondatore non resta fermo. Dopo mesi di silenzio, parlando in esclusiva con Affaritaliani, Simone Ciaruffoli non sembra intenzionato a rallentare e con la suaTrademarker ha già altri progetti pronti a partire.
In passato ha detto che dietro Burgez c’era un "ventenne brufoloso, nerd e incurante". Quanto di quel ragazzino irriverente vive ancora in Lei oggi, o la accompagna nel lavoro e nelle scelte creative?
Quel ragazzino irriverente è ancora dentro di me, ma con qualche graffio e cicatrice in più. Diciamo che oggi di quel ventenne mi porto dietro meno irriverenza, ma sicuramente mi accompagna lo stesso coraggio. Anche perché dico spesso che tutti siamo creativi, ma pochi siamo coraggiosi. Gettiamo l’ultimo foglio stropicciato con l’ennesima idea dentro al cestino, non perché non fosse buona l’idea, ma perché ci voleva coraggio a sostenerla.
Prima di Burgez è stato autore, regista, spin doctor e docente. Quale di queste esperienze l’ha preparata meglio ad affrontare il mondo del fast food e, soprattutto, a costruire un brand come Burgez?
Sì, sono salito sopra a tanti treni e mi sono fatto portare sino alla stazione che credevo essere il capolinea di ogni esperienza. Mi sono ritrovato ogni volta in una stazione in mezzo al nulla e da lì ho cercato di ripartire da zero, a piedi, senza soldi, ma con una forte tensione e desiderio per mezzo dei quali trovare e abbracciare nuove persone e nuovi progetti per fare un nuovo percorso insieme. Ora sono di nuovo in quella situazione.
Burgez è stato un fenomeno culturale prima ancora che gastronomico. Guardandosi indietro, quale crede sia stato il vero punto di forza che lo ha reso unico?
Credo uno storytelling e un tono di voce in controtendenza che cercasse di smentire innumerevoli manuali universitari sul come fare comunicazione, tanta pubblicità comparativa e una buona dose di fogli non gettati nel cestino. Poi sicuramente un prodotto di qualità in anticipo di una decina di anni sul mercato europeo, come sono stati altrettanto anticipatori i nostri Burgez Go, locali senza sala ma solo per servizio di asporto e delivery.
Alcune campagne hanno fatto scuola, altre hanno suscitato scandali e polemiche. Se potesse tornare indietro, rifarebbe tutto o ci sono limiti che oggi non supererebbe?
Se avessi avuto budget per farlo avrei fatto molto di più. Quasi tutto quello che ho fatto è stato a zero budget. Per questo motivo ho creato scandalo, perché con tanti soldi puoi creare stupore, senza soldi però puoi creare grandi scandali.
A un certo punto ha scelto il silenzio, chiudendo i social proprio nel momento più critico. È stata una strategia, un atto di difesa o una resa?
In realtà non li abbiamo mai chiusi. Abbiamo semplicemente smesso di comunicare l’incomunicabile. Devo dire anche che, da un certo punto in poi, non c’ero più io dietro al profilo di Burgez.
Cosa significa per vedere Burgez passare nelle mani di un gruppo con un'identità così diversa come Obicà e quali sviluppi si aspetta dopo la formalizzazione del trasferimento?
Certamente ne sono contento, perché si tratta di un gruppo solido e forte. Tuttavia non ho avuto contatti diretti con loro, quindi non conosco le loro intenzioni né la loro strategia. Ciò non toglie che, anche se ora ho la testa altrove, su altri progetti, sono comunque curioso di vedere cosa succederà.
Passiamo ai nuovi progetti. Con Trademarker diventa creatore e fornitore di brand "chiavi in mano". È un cambio radicale rispetto a Burgez, dove era volto e anima. Quanto è difficile passare da protagonista a regista invisibile?
Beh, se ci pensa non cambia molto perché costruisco il prodotto e il brand, solo che invece di crearne uno ne realizzo potenzialmente infiniti. Dando così sfogo a una certa dose di intuizione nel precorrere i tempi e a sfogarmi creativamente con i vari toni di voce di ogni nuovo singolo brand, dall’hamburger al sushi, dalla pizza al kebab, dal gelato all’hot dog…

In che cosa Trademarker si differenzia da una normale società di consulenza o da un franchising?
Trademarker sarà una dashboard online dove troverà ogni singolo brand della suite. Troverà il brand Frenzy (smash burger) con il suo prezzo di affiliazione scritto bello in grande sopra alla sua foto, oppure un altro brand come Marla’s (slice pizza) e tanti altri. Un po’ come entrare nel sito dell’Ikea, ma invece di scegliere un divano o una lampada, sceglierà il brand che più le piace.
Cliccando sul singolo brand si troverà di fronte al suo andamento in ogni singolo negozio aperto in ogni singola città, le metriche aggregate e KPI sotto forma di grafici comprensibili a tutti e una sintesi che le spiega quale sia il suo storytelling e tone of voice. Questi strumenti servono a monitorare l'andamento di attività già in essere (incassi compresi per singolo store) in modo da ricevere immediatamente una fotografia di come sta il brand e di decidere se sceglierlo o passare ad altro.
Se ha del capitale da investire, Trademarker è una piattaforma che le permette di entrare in possesso di brand innovativi e originali legati alla ristorazione veloce con investimenti minimi.

Ci parli di Frenzy: cosa ha di diverso rispetto a Burgez e quale sarà la sua identità unica?
Sarà intanto un monoprodotto, un singolo burger, sarà di alta qualità, possiederà un forte branding ma soprattutto uscirà ad un prezzo che ti farà dire: "Ma perché fino ad ora ho speso così tanto per uno smash burger?".
Marla’s, invece, punta sulla pizza "slice" in stile americano, volutamente lontana dal modello italiano. È una sfida culturale: cosa vuole dimostrare con questa scelta?
È un progetto che ho nel cassetto da almeno 8 anni. Forse nel 2017 era prematuro, ma ora è giunto il momento di portare in Italia una tendenza che non esiterà a farsi largo. Parlo di farine meno raffinate, di slice molto grandi, quindi autoconclusive, di prezzi molto bassi, quindi popolari (saranno il comune denominatore di tutti i brand di Trademarker), di ingredienti di gusto internazionale (non certo fiori di zucca o salsiccia o tartufo), di topping gustosi e di listini brevissimi, 2-3, massimo 4 tipi di slice.
Ha accennato anche ad altri format, dal kebab al sushi to go. Ci spieghi meglio? Come sceglierà le location dei nuovi brand? E a chi li affiderà: imprenditori esperti o anche giovani che vogliono mettersi in gioco?
A me interessano i prodotti di gusto, popolari e internazionali. Lo è l’hamburger, come la pizza, come il kebab, come il sushi, l’hot dog, e mi piace lavorare su questi non per modificarli, ma per dargli un tocco di branding. Non hai bisogno di inventare nuovi prodotti, ci sono già, ma è interessante farli pagare poco mantenendo la qualità e soprattutto donandogli uno storytelling accattivante.
Non voglio vendere un kebab a 10-12 euro perché lo faccio io che sono italiano e non tu che sei egiziano o turco; anzi, voglio stare nel tuo campo di gioco, cercando di essere più bravo, imparando da te (come gli americani che vengono a imparare a fare le tagliatelle a Bologna) per scalare poi il brand grazie al tuo know-how. Non voglio inventare niente, voglio migliorare quello che già c’è. Branding compreso.

Ha detto che i prezzi saranno centrali: "mai più burger a 15 euro". Vuole posizionarsi come "difensore del consumatore" o è una pura scelta strategica di mercato?
In sommarie parole, la vera innovazione di Trademarker risiede nel fatto che tutti i brand che genererà si conformeranno a 5 principi fondamentali:
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Branding disruptive
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Concept precursori di tendenze internazionali
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Prodotti di qualità
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Investimenti contenuti da parte degli affiliati
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Prezzi modici per il consumatore
Per noi il quinto principio è davvero fondamentale. I prezzi al consumatore finale dovranno essere molto contenuti, poiché devono necessariamente rispondere a una domanda di mercato dettata dalla diminuzione della capacità di spesa. Non possiamo far finta di nulla e chiudere gli occhi sul futuro prossimo della nostra Italia. Qualsiasi cliente, di qualsiasi ceto sociale, potrà permettersi di mangiare in uno dei nostri negozi anche più di una volta a settimana.
Il politicamente scorretto ha dato potenza al brand, ma oggi il confine tra provocazione e scandalo è sempre più sottile. Ha già deciso quali limiti non supererà più? Crede che l’ironia corrosiva di Burgez funzionerebbe ancora?
Burgez aveva quel carattere. Ogni brand, per definizione, deve possedere un suo personalissimo carattere e non copiarne altri. Per questo di Burgez ce n’è stato solo uno: ci devi nascere con quel carattere, non puoi avere un brand che scimmiotta un tono di voce che non gli appartiene. Dunque, i brand di Trademarker non avranno limiti, ma sicuramente non faranno il verso né a Burgez né ad altri brand in circolazione.
Si è sempre presentato come un provocatore, un visionario borderline. Con i nuovi progetti preferisce continuare a provocare o crede sia arrivato il momento di "normalizzarsi"?
Penso che non esistono i provocatori, esistono i provocati. Come ti muovi puoi provocare qualcuno, ma non perché al mattino ti alzi e dici "Ok, oggi chi provoco?", ma semplicemente vuoi essere te stesso. E nell’esserlo, visti i tempi che corriamo, incontri però sempre più persone sul tuo cammino che ti diranno: "Ehi, hai respirato in un modo che mi ha offeso!".
A quel punto dovrà decidere se guardarsi allo specchio per imparare a respirare in un modo diverso così da non offendere quella persona, oppure continuare a respirare come ha sempre fatto, rimanendo se stesso e dicendo al mondo che la sua diversità non è una provocazione, ma un modo diverso di essere, che paradossalmente rende diverso anche lui. Quindi no, non normalizziamoci.
Guardando al futuro, si vede ancora come imprenditore del cibo o come creatore di brand scalabili, replicabili, indipendenti dal prodotto in sé?
Sinceramente sono così piantato nel presente che non so nemmeno cosa mangerò stasera.
Se dovesse descriversi oggi, dopo la parentesi Burgez e davanti a una nuova partenza, quale parola sceglierebbe?
Rinascita.