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Economia
Cashback, il rischio vero è il cashcrack

È questo il perimetro entro il quale il sistema generato dal legislatore chiude il c.d. cerchio: andrebbe qualificato, infatti, come una sorta di “sistema chiuso”; tanto quanto scontato perché si presume che chi paghi con strumento tracciato abbia a monte la disponibilità economica sul proprio conto corrente. Pertanto, tali soggetti, non hanno e non maturano nel proprio intimo decisionale alcuna necessità o turbativa atta a non pagare elettronicamente per un determinato acquisto (tanto più se si ha uno storico di abitualità tipico di coloro che godono del principio d’indifferenza di spesa).  

Quindi il cashback non ha nulla a che vedere con una politica strategica di “emersione”, anzi, per certi versi potrebbe generare esattamente l’opposto assistendosi, ben presto, all’inversione dei presupposti di convenienza tra capacità di spesa del consumatore ed interesse alla vendita (non come tasso, ma come dinamica di contatto). Si badi bene che proprio il principio di indifferenza vale tanto per il consumatore che per il venditore qualora il rapporto contrattuale dovesse interessare persone ossequiose e rispettose della legge: per questi soggetti, ovviamente, gli strumenti di pagamento (vedasi il codice civile italiano) sono equivalenti. 

A dirla tutta occorrerebbe ricordare che è la moneta in valuta circolante (battuta) in euro ad avere corso forzoso e legale in tutta l’Unione europea. Non già, quindi, gli strumenti elettronici che sono semplicemente funzionali a conseguirne, con tempi e spazi diversi, la “disponibilità bancabile” (non potrebbe essere diversamente atteso, peraltro, il nostro codice civile come, ad esempio, l’art. 1277 c.c.). Non si trascuri, inoltre, che le ricevute Pos, Bancomat, ecc. non sono titoli al portatore: ruolo che spetta al denaro contante.

Se l’evasione, poi, si assume combatterla eliminando il contante, allora, occorre che il Legislatore ed il Governante di turno si assumano la responsabilità di costruire una società senza debiti in cui siano assicurati i margini per l’attività d’impresa nonché servizi pubblici mai sotto standard di efficienza (un mondo utopistico che degenererebbe ben presto in altro); a titolo di inciso si consideri che senza debiti ripartiti tra Cittadini e Stato le banche non esisterebbero neanche. 

Si innesca qui un problema di serietà della misura allora. Se cashback non combatte l’evasione, cosa o quale fenomeno illecito vorrebbe contrastare? Nulla di nulla poiché trattasi semplicemente di una misura facoltativa, volontaria e di preordinata disponibilità economica: idem avviene quando si gioca la schedina del totocalcio, del gratta e vinci, ecc. Qui sorge una domanda ulteriore. Ma le “schedine” possono rientrare nel beneficio del cashback?

Non si riscontrano esclusioni di sorta né nella legge di bilancio, né nel Decreto Gualtieri (e ci si può immaginare il motivo atteso che, dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli al 2018, testimoniano che il gioco da lotteria vale circa 20 miliardi di euro). A pensarci bene, ancora, risultano (assurdamente?) esclusi gli acquisti online.

Come se non bastasse, nello scorrere il decreto, un’altra disposizione, alquanto bislacca, balza all’attenzione d’esame: chi aderisce al programma cashback deve registrarsi sull’APP IO predisposta dalla società PagoPa spa, al contempo, dichiarando (in base all’art. 3, comma 3, del D.M. 156/2020) di “utilizzare gli strumenti di pagamento registrati esclusivamente per acquisti effettuati fuori dall’esercizio di attività d’impresa, arte o professione”; dichiarazione, quest’’ultima, che il Ministro Gualtieri ordina ai fini dell’attuazione esecutiva del programma stesso basandone il presupposto in richiamo applicativo degli articoli n. 46 e 47 del DPR 445/2000 (famosa normativa per le autocertificazioni).

A parte che un Ministro non dovrebbe “ordinare” (già solo per cultura politico-giuridica) l’applicazione di una norma la cui titolarità è già del cittadino poiché riconosciuta dalla legge la specifica facoltà assertiva e di autocertificazione, basti rilevare come le due disposizioni del DPR di inizio millennio poste nel D.M. cashback sono assolutamente inconferenti rispetto alla finalità di dichiarazione di utilizzo “esclusivamente” per acquisiti innanzi specificati.

Non è finita qui. C’è un’altra domanda da porsi. Se un cittadino ha partita iva e vuole acquistare qualcosa che non rientri nella sfera giuridico-economica dell’attività d’impresa, pur avendo solo strumenti elettronici riconducibili a quest’ultima, non ha sostanzialmente accesso al sistema “caschback” per non poterne dichiarare l’esclusività dell’utilizzo. Così generandosi un’assoluta disparità di trattamento che finisce, palesemente, per escludere dalla “lotteria” soggetti aventi a monte un rapporto di trasparenza con lo Stato, ma che per effetto di una tal disposizione discriminatoria ne restano slealmente non considerati (richiamandosi qui il principio di imparzialità della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione). 

Le perplessità sono molteplici e gli apprendimenti tecnici della dottrina giuridico-economica sicuramente sapranno meglio individuare i punti di sutura o di ulteriore rottura della materia. Però ora qui non resta che porre gli ultimi interrogativi in ordine all’incomprensibile previsione della cancellazione d’ufficio e/o volontaria.

Perché consentire, quindi, la cancellazione delle transazioni subito dopo l’emissione dei rimborsi (art. 4, comma 5, del D.M.)? E perché la cancellazione volontaria del consumatore dal sistema implica la perdita di ogni diritto al rimborso soprattutto nell’ipotesi in cui il cittadino stesso, nella realtà operativa, dovesse partecipare alla lotteria fidando del legittimo raggiungimento dei requisiti e, di riflesso, collocandone i relativi acquisti nel rispetto dei parametri temporali nonché della soglia necessaria a concorrere al pari degli altri (art. 3, comma 5, del D.M.)?

La chiave di lettura potrebbe essere l’affidamento dei reclami e di tutto il contenzioso derivante dal sistema “cashback” alla Consap spa? Essa è una società di servizi assicurativi avente capitale sociale di 5 milioni e 200 mila euro (stando ai dati del sito ufficiale) ispirata nelle proprie attività da criteri di efficacia, efficienza ed economicità. Se quest’ultimi criteri avranno un senso realmente percepibile lo si vedrà col tempo tenendo presente che a Consap spa il MEF, con il decreto in questione, ha attribuito solo 3 milioni di euro (art. 5, co. 2) per far fronte a quanto appena illustrato e per l’intero biennio 2021-2022.

La somma tra capitale sociale e l’ammontare dei trasferimenti ministeriali non si avvicina neanche a dieci milioni di euro. Quanto vale il rischio di non avere rimborsi e di dover fare causa a Consap spa? Sembra una sorta di avvertimento implicito al consumatore del tipo “chi di reclamo ferisce, di causa perisce”.  Altro che cashback, il rischio vero è il cashcrack per un paese che stenta, ancora una volta, ad assolversi dal peccato originale. Mentre tutto scorre. 

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