Competere
Di Nicolo' Boggian
Recentemente si è discusso nuovamente di ricette economiche e in particolare si è rilevato come per il nostro Paese e per le aziende italiane sia impossibile competere a queste condizioni di rigidità e di austerity finanziaria con paesi in forte sviluppo come l'India e la Cina o di recente crescita come l'Albania.
Si lamenta, infatti, che alcuni fattori come la tassazione sul lavoro, troppo elevata in Italia rispetto a quella dei paesi sopracitati -compresa tra l'8 e il 10%- insieme al costo dell'energia -superiore del 30% rispetto a molti paesi dell'area Ue- impediscano ai nostri prodotti di essere competitivi.
Per questo motivo si dice che per uscire dalla crisi sarebbe prioritario allentare il vincolo del 3% tra deficit e Pil in modo da poter riprendere a investire tramite nuovo debito pubblico.
Sebbene vi siano motivi validi di ritenere dannosa una forte rigidità di finanza pubblica, credo non sia vero che non si possa competere se non con nuovo debito.
Innanzitutto è vero che l'export italiano continua a essere forte e a crescere. Sembra quindi che molte aziende trovino il modo di avere successo sui mercati internazionali.
In secondo luogo se è ragionevole che non possiamo competere con aziende cinesi o indiane su alcuni prodotti, bisogna anche dire che, per il momento, il brand Italia ci garantisce ancora un buon posizionamento competitivo.
Da questo punto di vista i nostri competitor maggiori sono invece paesi Ue o "occidentali" molto più simili a noi come tassazione sul lavoro e come tax rate generale. Vero è che anche il costo dell'energia e delle materie prime spesso ci sfavorisce nei confronti dei nostri competitors diretti, ma questo fattore come l'incertezza del diritto, l'elevata burocrazia e la difficoltà di trovare finanziamenti e capitali di rischio dipendono dalle nostre scelte passate e attuali di politica e regolazione economica e non da un destino cinico e immutabile. Allo stesso modo la scarsità di diritti sociali dei paesi in via di sviluppo è anch'esso un fattore che ci sfavorisce nell'utilizzo di manodopera a bassa qualifica , ma è un fattore premiante per attrarre risorse qualificate. Da questo punto di vista anche i paesi in via di sviluppo saranno obbligati alla fine ad adeguarsi.
Semmai mi sembra discutibile la tendenza di voler finanziare lo sviluppo tramite fondi a capitale pubblico, che spesso si orientano sui molti "campioni nazionali", affetti spesso da una cronica scarsa produttività, da un management molto supino alla politica e da molti problemi accumulatisi in una storia non sempre gloriosa. Sembra che l'interesse nel finanziarli sia più frutto del desiderio di impadronirsi di un qualche feticcio del potere più che della pianificata volontà di ristrutturarli in modo serio e farli crescere.
Investire invece su realtà che stanno già sul mercato, sarebbe più saggio o in alternativa lavorare seriamente per abbattere i fattori di arretratezza del sistema paese che continuano a frenarci.