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Economia
Coronavirus, teniamoci pronti. Come cambiano sanità, economia e lavoro

Parliamo di evoluzione della sanità e dell’economia italiana con Luca Foresti, Ad del Centro medico Santagostino, una rete di poliambulatori specialistici low cost cresciuta in modo esponenziale nel fatturato negli ultimi anni. Foresti che conosce bene il settore sanitario è anche asceso alle cronache per uno studio su Nembro nel bergamasco, il Comune italiano più colpito dal Covid-19, da cui emergeva che il numero di morti reali era molto più alto di quelli ufficiali. Ieri la prima parte dell’intervista, dedicata alla poca trasparenza dei dati e alla mancanza di un piano sistematico nel caso vi fosse una nuova ondata di Coronavirus. 

 

C’è chi sostiene che non ci saranno sufficienti risorse per mantenere l'assistenza sanitaria che abbiamo oggi...

“Gli italiani, almeno nei prossimi 4-5 anni, vorranno una maggiore spesa nella sanità. Sarà l'area in cui si risparmierà meno, per ragioni di consenso. La politica vive di consensi e adesso sono coscienti che pochi letti di terapia intensiva e medici di base non sono un bene. Il politico che vorrà investire molto nella sanità troverà ampio consenso nella popolazione. Non mi aspetto un crollo del sistema ma un rafforzamento delle strutture già in essere e poche occasioni di innovare. Soprattutto l'innovazione di stampo tecnologico in questo momento sarebbe una manna dal cielo per noi. Ma ho paura che non si farà”.

 

Che evoluzione avrà la sanità in Italia dopo il Coronavirus?

“Se l'Italia prenderà i soldi del MES ci saranno 35-36 miliardi da investire nella sanità, anche se non è chiaro in quanti anni. La sanità italiana ha un valore complessivo di circa 140-150 miliardi di euro, quella pubblica di circa 117 miliardi. 35 miliardi su 117 sono tantissimi soldi. La questione è se questo denaro potrebbe essere utile alla sanità pubblica per innovare”. 

 

Potrebbe?

“Secondo me molto poco, perché la maggioranza delle persone che lavorano nel settore sanitario nazionale arriverà stremata alla fine di questa esperienza con il Coronavirus, a causa della pressione che hanno subito in questi mesi. Prevedo un aumento di risorse economiche per chi già lavora nel sistema, con aumenti degli stipendi. E nel momento in cui si dovranno allocare le risorse anche in questo caso si farà la cosa più semplice dal punto di vista politico: dare in modo equanime un po' a tutti per non scontentare nessuno”. 

 

Quindi la tendenza al consenso riprodurrà quello che c'è già?

“Si, però questo non crea innovazione o la possibilità di guardare avanti e anticipare il futuro. È molto difficile che il sistema nazionale riesca a trasformare queste risorse eventuali in innovazione”.

 

Non avrebbe più senso investire proprio sulle tecnologie, rinforzando la sanità territoriale mettendo davvero in rete i medici di base invece che rinforzare un sistema che punta solo all'ospedalizzazione come c’è stata in questi anni?

“Il problema non è se ma come riuscirci. Davanti a questa domanda però non vedo tanta gente che propone un modo concreto per realizzarla. Dovremmo fare tanti esperimenti diversi, misurare cosa funziona di più, tenerlo ed estenderlo. È un modo però difficile di ragionare nel sistema sanitario pubblico perché ragioniamo su dei tempi lunghi e articolati e richiede un'attenzione alla sperimentazione che questo Paese fa fatica a fare”.

 

Cambiamo argomento. Economia, come si evolverà la società dopo quanto accaduto?

“Quando i comportamenti delle persone cambiano cambia la domanda di beni e servizi. Un esempio banalissimo: sappiamo che la domanda di videoconferenze è scoppiata come è crollata la domanda per le palestre. Non sappiamo per quanto tempo vivremo in questa condizione, probabilmente fino a quando non arriverà il vaccino che potrebbe essere a due anni da oggi”. 

 

Con le task force che spuntano da ogni dove, non avrebbe senso che qualcuna si occupasse dei cambiamenti nel mondo del lavoro. Mettiamo proprio le palestre, nel breve probabilmente avranno molti problemi. Non potremmo avere un team di esperti, una sorta di pensatoio che sperimenti, che tira fuori idee su come trasformare e riconvertire attività come questa ma anche altre? 

“Penso che l'idea che lo Stato sviluppi idee per poter risolvere dei problemi sia un'idea sbagliata. Le idee per risolvere i problemi devono venire da cittadini, dalle associazioni, dalle aziende. Lo Stato deve normare la vita della società e dell'economia e lo deve fare all'insegna dell'innovazione. Lo Stato dovrebbe guardare agli esperimenti che si fanno e cercare di aiutare lo sviluppo di alcuni di questi esperimenti laddove risultassero positivi, cioè se funzionano a quel punto lo Stato gli può andare dietro. Ma l'idea secondo cui saranno le task force a salvarci è una follia che è stata spinta molto avanti ma che io non capisco. Poi certamente ci possono essere dei gruppi di persone che, come abbiamo fatto noi all'inizio con Immuni, si mettono assieme e cercano di pensare come risolvere problemi attraverso diversi canali. Noi l'avevamo fatto traverso modalità non-profit, come ci sono aziende che lo fanno in modalità profit e associazioni che lo faranno. Quindi meno task force e più fiducia nei confronti delle sperimentazioni fatte da aziende, cittadini, associazione e quant'altro.”

 

Come possiamo aspettarci una società che si evolva in questa direzione se abbiamo una classe politica che bada solo alla sopravvivenza, al giorno per giorno ed è sempre in ritardo sulla realtà?

“Non lo so. In più mi preoccupa che si pensi di risolvere la situazione spostando le risorse economiche dal futuro al presente. E’ sbagliato perché si fa solo debito pubblico caricando l'onere sulle generazioni future per finanziare quelle presenti. Quello che dovrebbe invece fare la classe politica è creare le condizioni perché da oggi al futuro il sistema economico diventi più produttivo e più capaci di generare ricchezza per tutti. Questo ci farebbe uscire dall'impasse. Un mastodontico debito pubblico invece è pericolosissimo ma è l’unica strada a cui si sta pensando”.

 

Sul lungo periodo cosa accadrà? 

“Ci saranno alcuni settori industriali in cui la domanda aumenterà e altri in cui crollerà. Se vogliamo reggere dal punto di vista economico dobbiamo supportare quelli in cui la domanda aumenta non quelli in cui la domanda crolla. Questa però è un’azione politicamente difficile. Perché la cosa più facile da fare in politica e dare un po' a tutti, e non puntare su qualcosa”.

 

Dovremmo però riconvertire in qualcos'altro quei settori in cui la domanda crolla. Sennò avremo milioni di disoccupati per strada che non sanno di che vivere...

“Giusto, i posti di lavoro devono essere spostati dai settori in cui la domanda crolla ai settori in cui la domanda è alta”.

 

Non ci vorrebbero investimenti pubblici? E come può farlo una politica che tira a campare da anni e non fa più strategie?

“Io non penso che debba essere lo Stato a investire ma i privati. Lo Stato ha il compito di creare le condizioni affinché i privati possano investire e muovere le risorse dove c'è domanda”. 

 

Ma allora occorre avere un sistema diverso in cui cambia il concetto di lavoro...

“Il mercato del lavoro deve far sì che quando una persona rimane disoccupata viene aiutata con sussidi di disoccupazione seri, però non si deve andare verso la protezione del suo posto di lavoro ma verso la protezione della persona. Si chiama flex security, è il sistema sviluppato in nord Europa”.

 

Era l’ispirazione di Marco Biagi ma in Italia...

“In questa modalità potremmo avere una ristrutturazione delle industrie, in termini di posti di lavoro, molto più rapida”.

 

E con lo smart working? E’ possibile che approfittando di questa situazione obbligata vi sia una ristrutturazione del lavoro anche sotto questo profilo?

“Si è scoperto che da casa le persone lavorano di più anche se le aziende pensavano che si lavorasse meno. Dopo il Coronavirus cambieranno i comportamenti e le persone. Probabilmente ci sarà sempre meno bisogno, nel medio-lungo periodo, di spazi-ufficio, scopriremo che la gente può usare meno la macchina e può fare i meeting on-line invece di andare sistematicamente e fisicamente dal cliente fornitore. Sono cambiamenti sociali che un po' tutti ci aspettiamo, poi continueremo a fare incontri fisici quando la fisicità non è sostituibile ma saranno considerati momenti di alta di qualità”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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